Ota Benga: un martire del Darwinismo. Storia del pigmeo che finì nello zoo del Bronx per essere mostrato come “anello mancante”

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Un secolo fa, i darwinisti cercavano ancora il mitico “anello mancante”. Non contenti di aver esibito veri e propri falsi (come nel caso dell’Uomo di Piltdown, che era in realtà un montaggio tra la calotta cranica di un australiano e la mandibola di un orango fossilizzata artificialmente, ma che fu messo in mostra al British Museum per 40 anni…), ci furono anche persone “vive” che ne furono vittime. Il caso più atroce é quello di Ota Benga: una delle tante storie che i libri di scuola non raccontano…

Il nome Ota Benga potrebbe non risultarvi familiare, dato che la sua storia appartiene ad un passato via via sempre più remoto. Ota Benga viene considerato l’ “ultimo schiavo”; anche se quest’affermazione non è del tutto veritiera, visto che la schiavitù sopravvive tutt’oggi sotto forme talvolta più subdole, immaginate di essere esposti in uno zoo all’interno della gabbia delle scimmie e avrete un’idea del perchè è stato definito in quel modo.
Ota Benga era di origini congolesi, membro del popolo di pigmei Mbuti, e viveva nei pressi del fiume Kasai, nel Congo Belga. Il villaggio trascorreva il suo tempo in pace e in armonia con i coloni locali, fino a quando Leopoldo II di Belgio decise di sfruttare intensivamente le risorse di gomma congolesi. Venne inaugurata la stagione del “Terrore della Gomma”: il Macellaio del Congo sterminò nell’arco di 23 anni circa 10 milioni di nativi congolesi.
Il villaggio di Benga venne sterminato, in quello che fu un massacro più che una vera e propria battaglia. Benga tornò da una battuta di caccia di qualche giorno per poi ritrovare il suo villaggio raso al suolo, la moglie e le due figlie uccise, e unico esponente vivente della sua comunità.
Poco dopo, Ota Benga venne catturato dagli schiavisti locali, e venduto per un’oncia di sale e un rotolo di tessuto a Samuel Phillips Verner, missionario e imprenditore americano inviato in Africa nel 1904 per ottenere alcuni pigmei da mostrare alla Fiera Mondiale di St. Louis.
Una volta in Louisiana, Benga e gli altri africani che lo avevano seguito dal Congo divennero popolari, specialmente per la personalità amichevole e i caratteristici denti limati. Cinque centesimi di dollaro per assistere alle loro performances, qualcosa di più per portare a casa una fotografia. Venivano definiti “i soli cannibali africani genuini in America”, e attiravano oltre 40.000 spettatori ogni giorno.
Di fatto, Benga e i suoi compagni erano prigionieri. A Verner fu consegnata la medaglia d’oro per l’antropologia, e il noto scienziato dell’epoca W. J. McGee ebbe l’opportunità di mostrare che Benga e i suoi compagni “rappesentano il grado più basso dello sviluppo umano”.
Benga venne successivamente restituito Verner, e iniziò ad accompagnarlo durante i viaggi in Africa dell’americano. Visse per breve tempo in Congo, e sposò una donna congolese che poco dopo morì per un morso di serpente.

Ota Benga

Trasferitosi in America, iniziò a lavorare (senza salario per via del mancato accordo economico tra Verner e il curatore) per l’ American Museum of Natural History di New York come intrattenitore per i visitatori. Ben presto iniziò a sentire una terrificante nostalgia di casa: “Il silenzio del museo divenne una fonte di tormento, una specie di rumore; aveva bisogno di canti d’uccelli, vento, alberi” scrive Verner, probabilmente una delle poche persone che abbia mai tentato di comprendere Benga.
Le scarse finanze di Verner non potevano continuare a manterere Benga a tempo indefinito. L’americano decise quindi di portare Benga allo Zoo del Bronx, dove fu libero di spostarsi a piacimento. Ben presto si affezionò ad un orangutan di nome Dohong, addestrato per eseguire trucchi e imitare il comportamento umano. Benga trascorreva gran parte del suo tempo nella sezione dedicata alle scimmie, e i curatori dello zoo iniziarono ad incoraggiarlo a installare in quel punto la sua amaca e tirare frecce contro un bersaglio.
Ben presto la comunità afro-americana iniziò a protestare (come dar loro torto?) sotto la guida del reverendo James H. Gordon, fermamente convinto che l’esibizione volesse dimostrare la realtà del Darwinismo e oscurare il Creazionismo. “Pensiamo che la nostra razza sia sufficientemente depressa anche senza esibire uno di noi come una scimma…pensiamo di meritarci di essere considerati degli esseri umani, con delle anime”.
Benga inziò a soffrire della sua situazione (ancora, come dargli torto?), e iniziò a diventare violento. Il reverendo Gordon lo prese sotto la sua custodia nel 1906, pochi mesi dopo l’ingresso di Benga nello Zoo del Bronx, e iniziò ad “americanizzarlo” facendogli incapsulare i denti e abbigliandolo all’americana. Benga iniziò un corso di inglese che presto interruppe per andare a lavorare nella fabbrica di tabacco di Lynchburg, Virgina, in cui divenne popolare tra gli operai per la sua abilità di arrampicarsi sulle cime dei pali in cui veniva fatto essiccare il tabacco senza dover utilizzare una scala.
Benga, tuttavia, aveva iniziato a progettare il suo ritorno in Congo. L’arrivo della Prima Guerra Mondiale distrusse ogni speranza di tornare nella sua terra natale, e ingigantì il senso di solitudine e la depressione dell’uomo al punto tale da portarlo al suicidio. Il 20 marzo del 1916, all’età di 32 anni, Benga si estrasse le capsule dai denti, costruì un fuoco cerimoniale, e si sparò al petto con una pistola rubata.
La vita di Ota Benga venne utilizzata per dimostrare la “supremazia bianca” sia dal punto di vista antropologico che culturale, ma la sua esperienza dovrebbe soltanto costringere chiunque a chiedersi chi sia il vero selvaggio in questa storia.

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3 commenti

  1. Vien da chiedersi quale sia il vero senso dell’uomo sulla Terra.
    Chissà quanta gente sconosciuta stà passando in questo momento sofferenze atroci in piena solitudine e senza alcun barlume di speranza ! Si nasce, si vive alla meno peggio e si muore senza aver potuto dare un significato alla propria esistenza. Anzi qualcuno non fà in tempo a nascere che già viene spedito all’altro mondo dal folle di turno o da un genitore senza coscienza.Il Buddismo ha ragione da vendere quando proclama la verità suprema della realtà della sofferenza.

  2. Verner viene definito “missionario”. Quindi, probabilmente, era un cristiano (magari cattolico). Trovato il vero selvaggio!!!

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