Quando la CIA e i Rockefeller inventarono l’arte contemporanea

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Modern art was CIA “weapon” (L’Arte Moderna è stata un’arma della CIA). Anche i giornali britannici e americani, oramai, lo affermano senza mezzi termini. I fondi per “sponsorizzare” artisti come Pollock e istituzioni come il MOMA vennero dai servizi segreti e dalla Fondazione Rockefeller. Lo scopo dichiarato? Vincere la “guerra fredda” anche sul piano dell’estetica e …manipolare il gusto delle masse!

Da E.Perucchietti/G.Marletta, La fabbrica della manipolazione, Ed. Arianna, pp. 131-134:

“L’arte si è spesso “accompagnata” alla moda. Andy Warhol ha reso celebre la modella e poi sua attrice feticcio Edie Sedwick, l’icona degli anni ’60, consumata dall’anoressia nervosa che si spense a soli 28 anni per un’overdose di barbiturici.

Figura dominante all’interno della Pop Art, Warhol ha capeggiato la sperimentazione di una nuova forma di avanguardia “democratica”, tramite i mezzi di comunicazione di quegli anni, musica, cinema e pubblicità.

Warhol rappresentò anche la figura di riferimento per giovani artisti, quali Jean-Michel Basquiat, che aiutò a sfondare nel mondo dell’arte quale rappresentante emergente del graffitismo. Basquiat, definito il “James Dean dell’arte”, e il più noto Keith Haring sarebbero morti però giovanissimi, il primo per overdose di eroina e il secondo di AIDS.

La Pop Art e il graffitismo ereditavano l’entusiasmo degli anni precedenti per l’astrattismo, di cui Jackson Pollock e Mark Rothko sono stati alcuni tra i maggiori rappresentanti americani. Le implicazioni filosofiche e psicologiche dell’astrattismo, l’estetica primitivistica interpretabile come rappresentazione dell’inconscio avevano convogliato l’attenzione degli appassionati di arte verso questo nuovo genere. I paralleli con l’arte dei nativi americani e con la psichedelia non potevano che continuare a trovare largo consenso negli anni del flower power.

Fece decisamente scalpore, nell’ormai lontano 1995, un articolo pubblicato dal quotidiano britannico «The Independent», in cui per la prima volta veniva pubblicamente riconosciuto il contributo avuto dalla CIA nella promozione dell’arte moderna (soprattutto nelle sue forme più estreme di astrattismo). L’articolo, dal significativo titolo Modern art was CIA “weapon”[1] (L’Arte Moderna è stata un’arma della CIA), mette nero su bianco quello che, per decenni, sembrava essere solo un’illazione che circolava negli ambienti artistici.

La vicenda, a tratti davvero sconcertante, merita di essere ricostruita nelle sue fasi salienti.

Scrive «The Indipendent»:

«Per decenni nei circoli d’arte era stata considerata una voce o uno scherzo, ma ora arriva la conferma. La Central Intelligence Agency ha utilizzato arte moderna americana – comprese le opere di artisti come Jackson Pollock, Robert Motherwell, Willem de Kooning e Mark Rothko – come arma nella guerra fredda. Alla maniera di un principe del Rinascimento – tranne che per il fatto di aver agito in segreto – la CIA ha favorito e promosso l’arte astratta americana e la pittura espressionista in tutto il mondo per più di 20 anni».

Il sostegno sarebbe arrivato attraverso una serie di “finanziamenti occulti” alla rivista artistica «Encounter», al circolo Congress for Cultural Freedom e soprattutto attraverso l’organizzazione di enormi mostre d’arte itineranti fra Europa e Stati Uniti, come “The New American Painting” (che tra 1958 e 1959 espone in quasi tutte le grandi città europee), “Modern Art in United States of America” (1955) e “Masterpieses of XX Century” (1952). I fondi sarebbero venuti in gran parte dalla persona di Nelson Rockefeller, direttore del M.O.M.A (Museum of Modern Art di New York, anch’esso fondato dai Rockefeller). Il M.O.M.A. dei Rockefeller, peraltro, sarebbe stato fin da subito un vero e proprio “feudo della CIA”, secondo le rivelazioni contenute nell’articolo dell’«Independent»:

«Il museo è stato anche legato alla CIA attraverso molti canali. William Paley, il presidente di CBS e uno dei padri fondatori della CIA, sedette fra i membri responsabili del programma internazionale del museo. John Hay Whitney, che aveva servito in guerra tra le file dell’agenzia, l’OSS, è stato suo presidente. E Tom Braden, primo capo della Divisione Organizzazioni Internazionale della CIA, è stato segretario esecutivo del museo nel 1949».

Proprio da Tom Braden sono arrivate le “rivelazioni” pubblicate dall’«Independent». Secondo tale versione, peraltro, gli artisti supportati da questa imponente “macchina da guerra” erano (e sarebbero dovuti rimanere) del tutto all’oscuro di tali manovre, anche perché il mondo dell’arte moderna americana era spesso costituito da filo-comunisti e personaggi “anti-sistema” che avrebbero gradito poco una collaborazione diretta coi servizi segreti. Con essi, pertanto, la CIA avrebbe mantenuto una particolare strategia detta del “guinzaglio lungo”, controllando e promuovendo l’opera di questi autori ma …senza palesare in alcun modo la sua presenza.

Ma per quale motivo la CIA e i Poteri Forti avrebbero impiegato soldi e tempo per foraggiare l’arte moderna? La spiegazione “ufficiale” è che nell’astrattismo si sarebbe visto un contraltare al “rigore” formale del realismo sovietico di quegli anni: si sarebbe, quindi, voluto dimostrare al mondo “l’apertura” e la “larghezza di vedute” della civiltà americana, rispetto al formalismo dell’arte russa.

E tuttavia, questo tipo di spiegazione non appare del tutto soddisfacente, specie considerando che, negli stessi anni, la CIA e i poteri ad essa collegati erano contemporaneamente impegnati in altre forme di “mecenatismo culturale”, finanziando e supportando altrettanto occultamente il nascente movimento femminista, la cultura dell’LSD, la rivoluzione sessuale e, qualche decennio dopo, l’Ideologia Gender.

Più che la Russia e o paesi del blocco orientale, in effetti, la ricaduta di questa ennesima “rivoluzione culturale controllata” sembra aver riguardato essenzialmente le società occidentali, il cui gusto estetico verrà totalmente trasformato nel giro di pochi anni. Basti pensare, ad esempio, che ancora negli anni ’50, il presidente americano Truman in visita ad una mostra d’arte moderna poteva esclamare sconcertato la famosa frase: «Se questa è arte, io sono un ottentotto!».

Ma a dispetto del Presidente, il nuovo “gusto americano” si sarebbe di lì a poco diffuso in tutto il mondo, veicolando con esso anche quel senso di caotico e quella negazione della “forma” che sembra essere un vero e proprio “marchio di fabbrica” di tutte le manifestazione del “costume” occidentale contemporaneo. Di lì a poco, infatti, il nuovo astrattismo avrebbe riempito delle sue creazioni le gallerie, i musei e soprattutto l’immaginario “visivo” dell’uomo occidentale, sostituendo persino nei luoghi di culto i “vecchi” modelli di Giotto o di Caravaggio, di Michelangelo o del Beato Angelico, con la nuova “spontaneità” e “l’estro” dei maestri della non-forma.

Una “rivoluzione” senza precedenti, pertanto, e di cui oggi conosciamo finalmente anche i risvolti per molto tempo rimasti “segreti””.

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1 commento

  1. Non è un’idea nuova quella secondo la quale le forme di rappresentazione artistica delle cose sono strettamente dipendenti dal modo di vedere e dal modo di pensare proprio della cultura in cui si diffondono. Così, la rappresentazione prospettica difficilmente si sarebbe potuta affermare, prima che gli uomini incominciassero a pensare che la realtà delle cose sta tutta in oggetti individuali e separati, legati da un ordine predefinito ed univoco. E’ stato allora che essi hanno incominciato a pensare, consapevoli o no, al Mondo come ad un gigantesco parallelepipedo, anziché concepirlo come una sfera di raggio indefinito come lo si pensava prima e, formalmente, lo si sarebbe continuato a definire ancora per qualche tempo.
    Per contro, le rappresentazioni teatrali medioevali, caratterizzate da scene a molti livelli per narrazioni contemporaneamente svolgentesi su più piani, mirabile espressione della percezione della simultaneità degli stati dell’Essere, avrebbe potuto conservarsi ancora soltanto presso il popolo, la cui capacità di comprensione metafisica era ancora, generalmente, più pura, in quanto non toccata dalle nuove tendenze culturali, che facevano presa sulle classi colte, mentre fra queste ultime, prendevano piede rappresentazioni di tipo diverso, come i Masques di corte, caratterizzate da scene a struttura architettonica prospettica.
    Sono solo due esempi e molti altri se ne potrebbero fare.
    Adesso, però, occorre chiedersi se non possa essere anche il contrario, se, cioè, l’abitudine a vedere o a rappresentare le cose in una certa maniera, non possa cambiare strutture profonde, nel modo di percepirle, e di pensarle.
    Le c.d. neuroscienze stanno mostrando come le pratiche, le abitudini e le attitudini comportamentali corporee possano modificare anche somaticamente la rete neuronale ed a fortiori le modalità psichiche di percezione e pensiero.
    Faccio ancora solo un esempio corrente che travalica in genere l’ambito proprio dell’arte, ma lo interseca pure, in alcuni casi: la rappresentazione dell’orrore.
    E’ facile fare il confronto fra la percezione di ciò che genera orrore o raccapriccio oggi e ciò che lo generava soltanto una sessantina di anni fa. Basta guardare uno dei c.d “film dell’orrore” girati negli anni cinquanta o ancora qualche decennio prima. Oggi fanno sorridere e tenerezza anche ai bambini, un tempo, evidentemente, provocavano paura, o almeno tensione e raccapriccio.
    Andando in tempi più antichi, Oderico da Pordenone, nel XIV sec., narra che durante il suo viaggio in Tibet, fu ad un certo punto terrorizzato dalla visione di una delle rappresentazioni “terrifiche” proprie di quella cultura, nella quale si era imbattuto. Non c’è particolare motivo per pensare che le raffigurazioni di questo tipo fossero allora, più spaventose di quelle di oggi, che tutti guardano, forse con curiosità, ma sicuramente con nessuna impressione o spavento.
    Anche le statue azteche, come quelle della dea Coatlicue che aveva terrorizzato i conquistadores al punto che l’avevano sotterrata, non avendo evidentemente il coraggio di distruggerla come avevano fatto per altri idoli, viste oggi, non fanno più particolare impressione.
    Ma che cosa significa questo? La paura o il raccapriccio, specie quando non sono collegate direttamente all’idea di un pericolo materiale, ma ad una particolare forma o figurazione, segnalano rapporti profondi di incompatibilità psichica. Un millepiedi o un ragno gigantesco fanno paura spesso a prescindere dal materiale pericolo che possono rappresentare, perché esprimono modalità di movimento e coordinamento motorio di tipo meccanico che contrastano con la semantica dei movimenti umani (ogni movimento per gli uomini ha un significato profondo, ma una molteplicità elevatissima di movimenti complessi crea un sovraccarico di informazioni che divora il senso ed il significato, in un non – senso meccanico).
    Se quello che faceva istintivamente paura prima, ora non lo fa più, è chiaro che è perché è cambiato il modo di essere e di sentire degli uomini. Ma che cosa significa il fatto che questo cambiamento è stato indotto da una graduale e lenta abitudine o assuefazione? Quali ne sono le implicazioni sul modo di pensare, sul modo di sentire, di percepire degli uomini?
    E non è possibile allora che questi cambiamenti vengano provocati volontariamente da chi abbia conoscenza di tali processi ?