Sacralità e sapienzialità del Rosario mariano (Cosmo Intini)

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Il Rosario mariano è preghiera molto antica, le cui origini risalgono a ben prima dell’anno Mille. Fu ad ogni modo nel XV sec. che il frate domenicano Alain de La Roche ne stabilizzò l’attuale forma, affermando di esser stato ispirato in ciò direttamente dalla S. Vergine Maria nel corso di una serie di apparizioni. Raccomandata nei secoli da Pontefici e Santi, in quanto ritenuta ‘arma potentemente efficace’, la sua importanza è stata anche ribadita nel corso di straordinari eventi come quelli di Lourdes e di Fatima. Ma oltre ad essere quella salutare pratica di preghiera che ogni cattolico dovrebbe conoscere e praticare, il S. Rosario riveste un particolare interesse in quanto testimonia chiaramente la propria origine divina e rivelata. Lo si evince dal fatto che sussiste una sottile ed imprescindibile connessione, un’armoniosa e coerente coincidenza ontologica tra il suo significato e la sua ‘conformazione strutturale’, il suo significante. Soltanto una natura sacra può infatti manifestarsi secondo una simultaneità vigente tra la propria essenza e quella che è d’altra parte l’espressione di tale sua essenza stessa: il proprio nome.

Nel voler qui mettere in luce gli aspetti fondamentali di tale più profonda natura che è propria del S. Rosario, ci proponiamo innanzitutto di mostrare quanto la pratica di tale preghiera non possa e non debba rimaner circoscritta ad un approccio soltanto di tipo puramente ‘devozionale’, privandosi cioè di quelle ulteriori ‘consapevolezze’ che ne renderebbero la fruizione più vera, motivata e magari per questo anche più efficace.

Inoltre, con l’occasione intendiamo fornire certi spiragli utili per comprendere la realtà e l’efficacia ‘sapienziale’ insita in alcuni procedimenti ermeneutici – definibili per questo quali vere e proprie ‘scienze sacre’ – i quali risultano particolarmente applicabili con puntuale coerenza entro la Tradizione cristiana, proprio in quanto riferibili alla manifestazione incarnata del Cristo Logos.

BREVE INTRODUZIONE AL CONCETTO DI LINGUA SACRA E ALLA PRATICA DELLA GEMATRIA

La scienza sacra che nello specifico ci introduce ad una conoscenza più profonda del S. Rosario è la Gematria. Con tale termine si allude a quella comprensione interpretativa dei significati anagogici presenti nelle Sacre Scritture di una tradizione religiosa, realizzata sulla base della consapevolezza dottrinale di una corrispondenza sussistente tra numeri e lettere alfabetiche della lingua che di tale tradizione religiosa sia riconosciuta come sacra.

Nel caso specifico del Cristianesimo, la lingua che riveste tale funzione ‘sacrale’ è certamente il Greco antico. Questa nostra affermazione potrebbe forse lasciare stupiti molti lettori, ma le ragioni di quanto affermiamo sono profonde.

Innanzitutto, va precisato che l’accezione di ‘lingua sacra’, nel caso del Cristianesimo, denota la capacità della lingua greca di contenere in maniera latente l’espressione del Mistero cristiano concernente i suoi fondamentali dogmi, nonché quei suoi aspetti teologici e metafisici che costituiscono le Verità di Fede anche nel loro aspetto più profondo[1]. Non è del resto un caso che non solo tutto il Nuovo Testamento sia stato scritto proprio in ‘greco’, ma anche, ed in particolar modo, che specificatamente in tale lingua si sia rivelata l’Apocalisse di Giovanni: l’unico libro profetico presente nel canone neotestamentario e l’unico del quale sia affermato esplicitamente di esser stato “inviato dall’Alto”[2].

Nel concreto del suo utilizzo, la gematria considera ogni parola come fornita di un valore numerico totale, ottenuto in base alla somma dei valori numerici posseduti dalle sue singole lettere alfabetiche. Tale valore rispecchia in sé una qualità piuttosto che una quantità, la quale può essere colta sostanzialmente sia sulla base delle relazioni con cui tali valori numerici vengono a porsi nei rispetti di altri valori numerici ad essi rapportati, sia sulle relazioni che si stabiliscono all’interno di sé stessi nella successione con cui si presentano i numeri che li costituiscono, sia sul valore simbolico di ognuno di questi suoi singoli numeri, sia infine pure sul geroglifico della propria cifra. Inoltre, la gematria insegna che, a parità di valore numerico totale – evenienza alla quale viene dato il nome di isopsefia – due o più parole diverse si equivalgono anche nel proprio valore e senso qualitativo, simbolico e spirituale[3].

La gematria, beninteso, non è affatto un tardo e magari soggettivo approccio all’interpretazione dei testi sacri; tant’é che proprio nel libro dell’Apocalisse compaiono allusioni esplicite che confortano la liceità dell’impiego di questo approccio ermeneutico. Tra questi riferimenti ricordiamo in particolare:

1) l’invito a calcolare gematricamente il numero del nome della bestia (Ap13,18);

2) la ripetuta auto rivelazione del Logos che più volte si definisce essere l’‘Alpha e Omega’ (Ap1,8. 21,6. 22,13). Quest’ultima evenienza assume una valenza decisiva in quanto è possibile leggervi la chiara e diretta dichiarazione del Logos di essersi, in certo qual modo, spiritualmente “incarnato” anche nell’alfabeto greco; e ciò proprio in virtù della Sua peculiare natura (Logos = Pensiero e Parola).

Per aiutare il lettore a verificare le nostre osservazioni, riproponiamo innanzitutto lo schema dei rapporti alfabetico-numerici sussistenti per l’appunto in lingua greca. Ciò servirà come utile ausilio per seguire i computi gematrici che andremo ad effettuare:

α (alfa): 1 ι (iota): 10 ρ (rho): 100
β (beta): 2 κ (kappa): 20 σ (sigma): 200
γ (gamma): 3 λ (lambda): 30 τ (tau): 300
δ (delta): 4 μ (mi): 40 υ (ypsilon): 400
ε (epsilon): 5 ν (ni): 50 φ (phi): 500
ϛ (stigma): 6 ξ (xi): 60 χ (chi): 600
ζ (zeta): 7 ο (omicron): 70 ψ (psi): 700
η (eta): 8 π (pi): 80 ω (omega): 800
θ (theta): 9 ϟ (qoppa): 90 ϡ (sampi): 900

 

IL ROSARIO MARIANO E IL SIMBOLISMO GEMATRICO DEL NUMERO 15

Se per antichissima tradizione il numero 15 è sempre stato strettamente adoperato in riferimento alla Santa Vergine Maria[4], alla luce delle constatazioni che andremo qui ad effettuare possiamo ben dire che esso rappresenta effettivamente una pertinente e diretta espressione della Madonna stessa, in quanto a Lei legato in maniera intrinseca: un Suo vero simbolo, insomma, il cui suo uso non va pertanto concepito come frutto di una mera convenzione.

Tale contingenza viene confermata dal fatto che il 15 è appunto il numero posto estesamente alla base della struttura della Corona del S. Rosario; e ciò assieme al numero 5, di cui in effetti non è altro che una sorta di ‘estensione’ numerologica, visto che il 15 risulta esser ottenuto dalla somma delle ‘prime cinque cifre’ (15=1+2+3+4+5)[5].

Ma procediamo con ordine.

Se prendiamo le cifre 4-5-6, notiamo come all’interno della decina (e seguendo il punto di vista tradizionale, di matrice pitagorico-platonica, sappiamo che è dalla decina che viene simbolizzata la totalità ordinata dell’Universo creato) esse siano le uniche che, essendo contigue, posseggono la caratteristica di avere come somma 15, facendo peraltro ‘perno’, per così dire, proprio sul centrale numero 5 che è il numero ‘ierogamico’ e quindi ‘mariano’ per eccellenza.

Orbene, operando una lettura gematrica del n.456 notiamo che tale valore corrisponde a quello della parola greca meter (μητηρ)[6], che traduce ‘madre’. D’altro canto, il suo inverso 654 corrisponde a basilissa (βασιλισσα)[7], che traduce ‘regina’.

Siamo qui immediatamente posti al cospetto di quelli che sono i confini, i termini-pilastro entro cui si esplica il Mistero mariano: Madre di Dio sulla Terra (notare le cifre 4-5-6 poste in senso ‘ascendente’) e Regina-Sposa di Dio in Cielo (notare la disposizione ‘discendente’ delle cifre 6-5-4).

Inoltre, spartiacque tra tali due estremi è il n. 555 che di 456 e 654 rappresenta la media aritmetica. Ora, a parte l’emblematica comparsa di questo triplice numero 5 la cui somma è ancora una volta 15, notiamo che al valore 555 corrisponde proprio la parola greca koimesis (κοιμεσις)[8], che per gli ortodossi traduce ed indica la ‘Dormizione’(ovvero l’‘Assunzione’, per noi cattolici).

La Dormizione della S. Vergine Maria esprime in maniera univoca il momento del Suo passaggio dalla Terra al Cielo, andando Ella ad unire la propria condizione di Madre a quella di Regina.

Se quanto sin qui osservato può ancora dar adito al dubbio di trovarci di fronte ad una mera casualità, basterà allora constatare che l’insieme dei due numeri 5 e 15 hanno ancora molto da dirci. Infatti, il n.515 (dato dall’accostamento di 5 e 15) è il valore di parthenos (παρθενος)[9], ‘Vergine[10], mentre 155 (dato dall’accostamento di 15 e 5) corrisponde a g Maria (γ Μαρια)[11], che traduce ‘S. Maria’[12].

Come se non bastasse, notiamo che a 15 corrispondono pure le due parole greche – una l’anagramma dell’altra – aghia (αγια)[13]e gaia (γαια)[14], le quali traducono nell’insieme ‘Terra Santa’; con quello che ne consegue soprattutto in rapporto alla S. Vergine, invocata già dalla patristica dei primi secoli con l’epiteto di ‘Terra edenica’, nonché di ‘Gloria di Gerusalemme’ ovvero pure di ‘Figlia di Sion’.

A questo proposito vorremmo inserire la riflessione su quella che è la struttura della Corona vera e propria con cui si effettuano le meditazioni e si recitano le preghiere del S. Rosario. Essa è costituita da grani in numero di 5 decine + 5 unità, posti nella sua parte circolare, oltre ad una serie di grani in numero di 1 + 3 + 1, posti nella sua appendice. Se a tali valori 50 – 5 – 1 – 3 – 1 abbiniamo le corrispondenti lettere greche otteniamo n-e-a-g-a (ν – ε – α – γ – α). Tale sintagma traduce in greco ‘terra nuova, terra vergine’, ulteriore tradizionale epiteto con cui si è invocata la S. Vergine sin dalla remota antichità!

Un’ulteriore menzione va fatta a riguardo della notevole circostanza secondo cui la preghiera dell’Ave Maria, allorché recitata ‘in latino’, consta di 30 parole suddivise in due parti di 15 + 15 facenti centralmente perno sul nome Iesous; il Pater Noster ne consta altresì di 50 ed il Salve Regina, con cui si conclude usualmente la recita, di 55 parole. Il Gloria ne consta di 20, che è un ulteriore multiplo di 5.

In definitiva, se sommiamo tutte le parole delle quattro preghiere che costituiscono il S. Rosario (Ave, Pater, Gloria, Salve Regina) abbiamo come totale 155, che ricordiamo essere il già incontrato valore gematrico di S. Maria[15].

Un’ultima emblematica circostanza concerne la festività della ‘Madonna del Rosario’. Tale festa ricorre il 7 ottobre e fu fissata nel 1571 sulla scorta della vittoria nella battaglia di Lepanto. Ciò che a noi preme sottolineare è la contingenza metastorica che ha fatto sì che la ricorrenza venisse introdotta da Papa Pio V e che fosse fissata proprio per quel giorno!

Innanzitutto va osservato che il 7 ottobre è il 15mo giorno del segno della Bilancia, ovvero quello esattamente centrale, posto come esso a 15 gg. dal suo inizio e 15 dalla sua conclusione. Esso assume in pratica una posizione armonizzante, di equilibrio all’interno del segno.

La contingenza è notevole in quanto la bilancia stessa è simbolo di equilibrio, oltre che di giustizia; ed è per questo che essa risulta peraltro collegata con il Giudizio Universale! Conosciamo benissimo quella che è la posizione che, si ritiene, assumerà la S. Vergine nel giorno del Giudizio, quando questo avverrà dinanzi alla porta del Paradiso: mentre l’Arcangelo Michele sarà deputato alla pesa delle anime, impugnando appunto la bilancia, la S. Vergine invece intercederà per coloro che in vita Le saranno stati fedeli, sorreggendo uno dei piatti della bilancia stessa affinché la loro anima risulti meno pesante[16].

Che poi la creazione della festa del S. Rosario sia avvenuta per iniziativa di Papa Pio V, anche ciò riflette una circostanza ‘metastoricamente’ significativa! Seguendo infatti il computo dell’Annuario pontificio, Papa Pio V è stato il 225mo Pontefice. Ebbene, il valore 225 è pari a 15 x 15. Come a dire: il valore 15 espresso alla propria potenza!

Seppur nella loro necessaria concisione, auspichiamo che le osservazioni sin qui operate possano aver donato una seppur minima idea della vastità di implicazioni misteriche che è possibile riconoscere alla figura della S. Vergine Maria ed alla preghiera che ne è per antonomasia l’icona: il S. Rosario.


NOTE ESPLICATIVE

[1] La ‘lingua sacra’ non sempre coincide con quella che è la ‘lingua liturgica’ di una data religione. Per il Cristianesimo occidentale, ad esempio, è il latino ad assolvere a quest’ultima funzione. In alcune occasioni, tuttavia, è altrettanto evidente che anche la lingua liturgica può assumere caratteristiche “sacre” atte a veicolare significati profondi. Nel caso proprio del Rosario, ad esempio, tale pratica é stata “rivelata” in latino, e la stessa traduzione latina delle preghiere del Pater e del’Ave rispecchiano una perfezione numerologica che fa capire che tale traduzione non fu affatto un’opera “profana”.

[2] La natura rivelata dell’Apocalisse è esplicitamente dichiarata dal Logos stesso a conclusione del libro di cui non dev’essere mutata alcuna parola: “A chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro io dichiaro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; 1e se qualcuno toglierà qualcosa dalle parole di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro”. (Apocalisse 22, 18-19)

[3] Tanto per fare qualche esempio: la parola ‘pneuma’, che significa ‘Spirito’, allorché scritta in greco possiede lo stesso valore gematrico di ‘aetos’, che significa ‘aquila’; e ben conosciamo l’equivalenza simbologica dei due termini. oppure, la parola greca ‘yios’, che significa ‘Figlio’, ha il medesimo valore di ‘zygos’, che traduce ‘bilancia’; e qui si allude alla seconda persona della SS. Trinità nell’accezione de ‘il Giusto’! E così via!

[4] E’ sintomatico che il n. 15 compaia a Lei accostato sin già dai Vangeli apocrifi. Secondo il Vangelo armeno dell’infanzia ad esempio (V,9), pare che l’Annunciazione sia avvenuta il 15 di Nisan (= 6 aprile). Secondo questo stesso apocrifo, ma anche secondo molti altri, pare che la Vergine Maria, così come era usanza dell’epoca, sia stata offerta dai propri genitori al Tempio e lì custodita in santità fino all’età di 15 anni. Ed ancora: quando Ella fu offerta (aveva ancora solo 3 anni), stupì tutti in quanto, per grazia infusa da Dio, salì i 15 gradini che conducevano dal cortile all’interno del Tempio senza voltarsi indietro per cercare i genitori, così come solevano fare invece tutti gli altri bambini.

[5] La preghiera del S. Rosario si basa sulla meditazione attorno a 15 Misteri, suddivisi in tre gruppi di 5 (Gaudiosi, Dolorosi e Gloriosi). Ogni cinquina comporta la recita di 50 Ave, 5 Pater e 5 Gloria. Prima di ogni cinquina si recitano ulteriori 5 preghiere: 1 Pater, 3 Ave, 1 Gloria.

[6] 456 = 40+8+300+8+100.

[7] 654 = 2+1+200+10+30+10+200+200+1.

[8] 555 = 20+70+10+40+5+200+10+200.

[9] 515 = 80+1+100+9+5+50+70+200.

[10] A proposito del n.515, andrebbe operata tutta una serie di osservazioni riguardanti l’utilizzo fattone da Dante nella Divina Commedia. Qui ci basti ricordare che nella famosa profezia del cosiddetto ‘cinquecento dieci e cinque’ si parla di un Veltro-Messo di Dio, figura riconducibile ad un simbolismo di regalità (cfr. Inf. I,101 e  Purg. XXXIII,43) da cui l’oramai famosa decodificazione del 515, tramite le cifre romane, in DVX. A noi preme sottolineare il fatto che il veltro è un cane, e che in greco la parola che sta per cane, ossia il sostantivo kyon (κυων), si presenta altresì come part. pres. del verbo ‘kyo’, significando pertanto ‘colei che è gravida, incinta’. La figura apocalittica della Donna incoronata di stelle che incinta appare in Cielo (Ap 12,1-2 sgg.), che dall’esegesi cristiana viene interpretata quale simbolica immagine appunto della S. Vergine, risulterebbe insomma attinente alla simbologia profetico-regale del Messo di Dio; tant’è che Ella è stata spesso dichiaratamente invocata quale ‘condottiera degli eserciti, protettrice dell’Impero’!

[11] 155 = 3+40+1+100+10+1.

[12] La lettera “gamma”, secondo un uso molto antico, quando compare isolatamente è un’abbreviazione di aghìos, cioè “Santo”!

[13] 15 = 1+3+10+1.

[14] 15 = 3+1+10+1.

[15] Cfr. nota 7.

[16] Vogliamo incidentalmente far osservare che il giorno della festa di S. Michele, ossia il 29 settembre, si pone da una parte esattamente a 6 giorni dall’inizio del segno della Bilancia (23 settembre), dall’altra a 9 giorni dalla festa della Madonna del Rosario (7 ottobre). Ciò non è da leggersi come privo di un proprio particolare e nascosto senso, in quanto il 6 ed il 9 costituiscono i geroglifici di una simbologia legata appunto all’equilibrio, ed in particolare all’equilibrio degli opposti, in virtù della loro specularità rovesciata: 69.

 

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9 commenti

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  2. L’articolo è molto interessante e gli accostamenti simbolici fatti sono senza dubbio reali e significativi. Ho però delle riserve sulla parte introduttiva. Innanzitutto, benché ad oggi, salve alcune ipotesi su un frammento di Qumran, non risultino testimoni antichi dei Vangeli in ebraico, secondo la tradizione di padri della Chiesa come Origene, Eusebio e Girolamo, l’originale dei Vangeli era scritto in ebraico. Cito Eusebio che cita a sua volta Origene (ho tratto la traduzione da un articolo pubblicato sulla rete, ma ho controllato la citazione sull’originale):

    Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, 6.25.3-6 – “Il primo a scrivere
    fu Matteo che era un esattore delle imposte e più tardi divenne un apostolo di Gesù Cristo;
    egli pubblicò il Vangelo in ebraico per i fedeli ebrei. Il secondo fu Marco che scrisse
    seguendo le direttivo di Pietro che lo riconobbe come figlio nelle sua lettera: vi saluta la
    comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio. Il terzo fu Luca che scrisse il Vangelo predicato da Paolo per i gentili. Dopo tutti venne Giovanni.”

    Girolamo sostiene addirittura, che ai suoi tempi, una versione in ebraico era conservata a Cesarea. Anche Ireneo sostiene la stessa cosa di Origene.

    In secondo luogo, se si può concordare con l’autore sulla maggiore profondità simbolica della lingua greca per la dottrina cristiana (basta leggere il testo tradizionalmente posto sotto l’autorità simbolica di Dionigi Aeropagita), non si spiegherebbe, se si trattasse della lingua sacra del Cristianesimo, come essa avrebbe potuto essere praticamente abbandonata dal medioevo cristiano latino.

    Infine, se, come mostra l’autore, in determinati casi, è possibile estrarre dal computo delle lettere greche, che erano usate abitualmente anche per indicare le cifre, interessanti accostamenti simbolici, sarebbe pericoloso generalizzare, a causa del fatto che la lingua greca non ha mai avuto un legame più che accidentale con l’alfabeto usato, che fu un adattamento di quello fenicio. Con la conseguenza che molti suoni, come quello rappresentato dallo spirito aspro o il suono ‘ei’, non corrispondono a nessuna lettera. Per giunta, l’alfabeto fenicio era, come gli altri alfabeti semitici, consonantico, mentre quello greco è stato adattato per rappresentare anche le vocali.

    Questo però non toglie valore, a mio avviso, alle considerazioni sul Rosario, anzi, rende ancora più significativo il fatto che, in questo caso particolare, il computo numerico possa dar luogo ad accostamenti simbolici così precisi.

    • L’occasione fornita dalle obiezioni sollevate dall’anonimo lettore ci fa comprendere quanto sia utile e necessario operare alcune ulteriori precisazioni sulla sacralità della lingua greca, affinché ne vengano più correttamente colti aspetti ed implicazioni.
      Va subito detto che la questione riguardante la lingua in cui furono redatti inizialmente i Vangeli, al di là delle ipotesi o delle pseudo certezze o pur anche delle verità acclarate, rimane in realtà ininfluente nei rispetti delle conclusioni a cui pervengono le nostre tesi.
      Ciò intanto alla luce del fatto che le Sacre Scritture sono state tramandate a noi, ‘per Provvidenza’, nella forma che è per l’appunto in via definitiva quella in greco: e già questo sarebbe sufficientemente significativo! Né si deve oltretutto dimenticare che se l’Antico Testamento ha mantenuto la propria rilevanza nell’ambito della Rivelazione, peraltro solo per i Cristiani, ciò si è verificato con la traduzione detta dei LXX – emblematicamente approntata sin già dal II sec. a.C. –, la quale è anch’essa redatta nella medesima lingua; ché per gli Ebrei tanto la Torah, quanto la Profetica e la letteratura Sapienziale sono state addirittura ritenute superate con la speculazione talmudica. A riguardo va anche incidentalmente osservato che, secondo recenti studi, la Bibbia dei LXX è considerata – possiamo dire ancora una volta: ‘Provvidenzialmente’ – più attendibile dello stesso testo ebraico!
      Oltre a tutto ciò, poi, che tra i sinottici ci fu una versione del Vangelo di Matteo in ‘aramaico’, di seguito ritradotto nella koiné greca (e questa è cosa certa), oppure che anche altri Vangeli fossero pervenuti alla traduzione in greco soltanto in seconda istanza (e questa è al momento ancora solo ipotesi: vd. i recenti studi di Jean Carmignac)) non deve farci dimenticare che la prerogativa propria del messaggio di Cristo è stata quella di superare l’angusto ambito ebraico per proporsi anche e soprattutto ai Gentili dell’intero ecumene. E ciò ‘guarda caso’ a cominciare, con indubbia intenzionalità da parte del Signore, proprio attraverso la culla dell’ellenismo (cfr. la visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!”, riconoscendo nella voce ascoltata quella stessa del Signore – At 16,9-10). Non da ultimo, ribadiamo ancora una volta la fondamentale pregnanza posseduta dagli scritti giovannei: il quarto Vangelo, le Tre Lettere e soprattutto il libro dell’Apocalisse. Il concetto di Logos lì formulato (cfr. Gv 1,1. 1,14; 1Gv 1,1; Ap 19,13) appare come una evidente avvenuta sintesi tra il logos greco ed il dabar ebraico. Come disse S.S. Benedetto XVI nel famoso Discorso di Ratisbona del 12/09/2006 viene finalmente data, ancora una volta ‘Provvidenzialmente’, “…la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio… L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso…La visione di S. Paolo…può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco”.
      L’importanza dell’Apocalisse giovannea non può esser valutata in pieno se tale profezia escatologica non venga colta anche nella prospettiva del pellegrinaggio terreno a cui è chiamata la Chiesa, in vista della definitiva e finale ‘ricapitolazione in Cristo di tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra’ (cfr. Ef 1,10). Lungo questo cammino verso il pieno e completo sviluppo del Regno di Dio (che, si badi bene, è altra cosa da un evoluzionistico progresso terreno) la Chiesa si trova a doversi sempre più ‘consapevolizzare’ a riguardo dei termini contenuti nella Rivelazione divina, ma non sempre già chiaramente colti e definiti. Ne è un chiaro esempio la definizione di nuovi dogmi da parte dei Pontefici! Così come risulta inoltre pertinente l’incitamento della Lettera ai Romani, laddove S. Paolo parla della necessità di sempre “rinnovare l’intelletto per distinguere qual è la volontà di Dio” (Rm 12,2)!
      Tutto questo, per dire che la Chiesa non ha affatto abbandonato la nozione della sacralità della lingua greca, ma che piuttosto non l’abbia ancora riconosciuta. Ma questo non esclude che ciò possa e debba ancora avvenire in un qualche futuro: se e quando Dio vorrà!
      Un’ultima precisazione va fatta in merito alle potenzialità ermeneutico-simboliche della gematria. La validità del procedimento non deriva da una occasionale circostanza, né men che meno da una casualità aleatoria, bensì dalla natura stessa delle grammata che risultano imprescindibilmente legate ai numeri secondo una natura qualitativa e non quantitativa. Il presupposto è che i valori numerici rappresentati dalle lettere alfabetiche (da 1 a 900, per unità decine e centinaia) , non costituiscono una serie di quantità crescenti, bensì delle relazioni: e ciò secondo la modalità concettuale della matematica ellenistica che è del tutto differente da quella che è la concezione moderna del numero (cfr. ad es. Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone alla luce delle ‘dottrine non scritte’, Ed. Bompiani). In altre parole, il concetto è che non si perviene da 1 a 900 per successive aggiunte, ma per insita e sincronica distribuzione. Tutto è già nell’Uno, da cui consegue il Molteplice! E’ lo stesso discorso per cui si sancisce una totale differenza tra una visione storico-evoluzionistica, terrena, profana, ed una visione escatologica di sviluppo sacrale del Molteplice verso la finale ricapitolazione celeste nell’Uno.
      Ciò implica che la coerenza dei procedimenti gematrici non fa che evidenziare la coerenza già presente in maniera principiale e latente nell’Unità generatrice (Alpha), da cui non si può che pervenire per inevitabile conseguenza ‘logica’ (nel senso etimologico di logos) al compimento manifestato e finale del Molteplice (Omega)! Premesso ciò, si può constatare quindi come la potenzialità simbologica sia addirittura posseduta pure dai geroglifici delle grammata.
      Tanto per fare solo due esempi: a) sappiamo che per gli antichi pitagorici, e poi il platonismo, la perfezione della totalità del kosmos (l’Universo ordinato) era espressa dal valore 10, visualizzato dalla quaternarietà della cosiddetta Tetraktis: un triangolo equilatero ottenuto con la sovrapposizione di quattro serie di punti, secondo la successione 1 + 2 + 3 + 4 (=10), simbolo il quale è passato poi ad indicare la SS. Trinità. Ebbene, il triangolo equilatero è proprio il geroglifico della lettera delta (Δ), il cui valore gematrico è appunto 4. Ma è altresì interessante far notare che tale simbolo possiede la straordinaria facoltà di condividere in sé il riferimento tanto alla ‘quaternarietà’ – che indica un riferimento alla ‘cosmologia’, alla ‘manifestazione del creato’ -, quanto alla ‘ternarietà’ – che da parte sua indica un riferimento all’‘ontologia’, all’‘Essere in sé’ -. Ebbene, è sintomatico che il valore gematrico della parola delta (δελτα) sia pari a 340 (= 4+5+30+300+1): numero in cui compaiono entrambe le qualità suddette, moltiplicate per 10! E non basta! Poiché il dieci è numero riferito al Decalogo, che rappresenta la Legge che ordina l’Universo, il kosmos, è ben chiaro che il delta possiederà certamente un rapporto anche con tale aspetto. Ebbene, la parola dekalogos (δεκαλογος) ha un valore pari a 403 (= 4+5+20+1+30+70+3+70+200), in cui ricompaiono i soliti valori 3 – 4. Si noterà come tale numero sia del resto un ‘anagramma numerico’ del suddetto 340, proprio del delta!
      b) La lettera che si pone esattamente al centro dei valori dell’alfabeto gramma-numerico, considerandola cioè in relazione con gli estremi dati da Alpha ed Omega (valori 1 e 800), è la ypsilon (che vale infatti 400). Il geroglifico di tale gramma è Υ, il quale configura la posizione assunta dal Cristo crocifisso; ed è noto quanto sia usuale e significativa l’icona del Cristo in croce, posto sempre tra una Alpha ed una Omega.
      E così via!
      COSMO INTINI

      • L’occasione fornita dalle obiezioni sollevate dall’anonimo lettore ci fa comprendere quanto sia utile e necessario operare alcune ulteriori precisazioni sulla sacralità della lingua greca, affinché ne vengano più correttamente colti aspetti ed implicazioni.
        Va subito detto che la questione riguardante la lingua in cui furono redatti inizialmente i Vangeli, al di là delle ipotesi o delle pseudo certezze o pur anche delle verità acclarate, rimane in realtà ininfluente nei rispetti delle conclusioni a cui pervengono le nostre tesi.
        Ciò intanto alla luce del fatto che le Sacre Scritture sono state tramandate a noi, ‘per Provvidenza’, nella forma che è per l’appunto in via definitiva quella in greco: e già questo sarebbe sufficientemente significativo! Né si deve oltretutto dimenticare che se l’Antico Testamento ha mantenuto la propria rilevanza nell’ambito della Rivelazione, peraltro solo per i Cristiani, ciò si è verificato con la traduzione detta dei LXX – emblematicamente approntata sin già dal II sec. a.C. –, la quale è anch’essa redatta nella medesima lingua; ché per gli Ebrei tanto la Torah, quanto la Profetica e la letteratura Sapienziale sono state addirittura ritenute superate con la speculazione talmudica. A riguardo va anche incidentalmente osservato che, secondo recenti studi, la Bibbia dei LXX è considerata – possiamo dire ancora una volta: ‘Provvidenzialmente’ – più attendibile dello stesso testo ebraico!
        Oltre a tutto ciò, poi, che tra i sinottici ci fu una versione del Vangelo di Matteo in ‘aramaico’, di seguito ritradotto nella koiné greca (e questa è cosa certa), oppure che anche altri Vangeli fossero pervenuti alla traduzione in greco soltanto in seconda istanza (e questa è al momento ancora solo ipotesi: vd. i recenti studi di Jean Carmignac)) non deve farci dimenticare che la prerogativa propria del messaggio di Cristo è stata quella di superare l’angusto ambito ebraico per proporsi anche e soprattutto ai Gentili dell’intero ecumene. E ciò ‘guarda caso’ a cominciare, con indubbia intenzionalità da parte del Signore, proprio attraverso la culla dell’ellenismo (cfr. la visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!”, riconoscendo nella voce ascoltata quella stessa del Signore – At 16,9-10). Non da ultimo, ribadiamo ancora una volta la fondamentale pregnanza posseduta dagli scritti giovannei: il quarto Vangelo, le Tre Lettere e soprattutto il libro dell’Apocalisse. Il concetto di Logos lì formulato (cfr. Gv 1,1. 1,14; 1Gv 1,1; Ap 19,13) appare come una evidente avvenuta sintesi tra il logos greco ed il dabar ebraico. Come disse S.S. Benedetto XVI nel famoso Discorso di Ratisbona del 12/09/2006 viene finalmente data, ancora una volta ‘Provvidenzialmente’, “…la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio… L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso…La visione di S. Paolo…può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco”.
        L’importanza dell’Apocalisse giovannea non può esser valutata in pieno se tale profezia escatologica non venga colta anche nella prospettiva del pellegrinaggio terreno a cui è chiamata la Chiesa, in vista della definitiva e finale ‘ricapitolazione in Cristo di tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra’ (cfr. Ef 1,10). Lungo questo cammino verso il pieno e completo sviluppo del Regno di Dio (che, si badi bene, è altra cosa da un evoluzionistico progresso terreno) la Chiesa si trova a doversi sempre più ‘consapevolizzare’ a riguardo dei termini contenuti nella Rivelazione divina, ma non sempre già chiaramente colti e definiti. Ne è un chiaro esempio la definizione di nuovi dogmi da parte dei Pontefici! Così come risulta inoltre pertinente l’incitamento della Lettera ai Romani, laddove S. Paolo parla della necessità di sempre “rinnovare l’intelletto per distinguere qual è la volontà di Dio” (Rm 12,2)!
        Tutto questo, per dire che la Chiesa non ha affatto abbandonato la nozione della sacralità della lingua greca, ma che piuttosto non l’abbia ancora riconosciuta. Ma questo non esclude che ciò possa e debba ancora avvenire in un qualche futuro: se e quando Dio vorrà!
        Un’ultima precisazione va fatta in merito alle potenzialità ermeneutico-simboliche della gematria. La validità del procedimento non deriva da una occasionale circostanza, né men che meno da una casualità aleatoria, bensì dalla natura stessa delle grammata che risultano imprescindibilmente legate ai numeri secondo una natura qualitativa e non quantitativa. Il presupposto è che i valori numerici rappresentati dalle lettere alfabetiche (da 1 a 900, per unità decine e centinaia) , non costituiscono una serie di quantità crescenti, bensì delle relazioni: e ciò secondo la modalità concettuale della matematica ellenistica che è del tutto differente da quella che è la concezione moderna del numero (cfr. ad es. Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone alla luce delle ‘dottrine non scritte’, Ed. Bompiani). In altre parole, il concetto è che non si perviene da 1 a 900 per successive aggiunte, ma per insita e sincronica distribuzione. Tutto è già nell’Uno, da cui consegue il Molteplice! E’ lo stesso discorso per cui si sancisce una totale differenza tra una visione storico-evoluzionistica, terrena, profana, ed una visione escatologica di sviluppo sacrale del Molteplice verso la finale ricapitolazione celeste nell’Uno.
        Ciò implica che la coerenza dei procedimenti gematrici non fa che evidenziare la coerenza già presente in maniera principiale e latente nell’Unità generatrice (Alpha), da cui non si può che pervenire per inevitabile conseguenza ‘logica’ (nel senso etimologico di logos) al compimento manifestato e finale del Molteplice (Omega)! Premesso ciò, si può constatare quindi come la potenzialità simbologica sia addirittura posseduta pure dai geroglifici delle grammata.
        Tanto per fare solo due esempi: a) sappiamo che per gli antichi pitagorici, e poi il platonismo, la perfezione della totalità del kosmos (l’Universo ordinato) era espressa dal valore 10, visualizzato dalla quaternarietà della cosiddetta Tetraktis: un triangolo equilatero ottenuto con la sovrapposizione di quattro serie di punti, secondo la successione 1 + 2 + 3 + 4 (=10), simbolo il quale è passato poi ad indicare la SS. Trinità. Ebbene, il triangolo equilatero è proprio il geroglifico della lettera delta (Δ), il cui valore gematrico è appunto 4. Ma è altresì interessante far notare che tale simbolo possiede la straordinaria facoltà di condividere in sé il riferimento tanto alla ‘quaternarietà’ – che indica un riferimento alla ‘cosmologia’, alla ‘manifestazione del creato’ -, quanto alla ‘ternarietà’ – che da parte sua indica un riferimento all’‘ontologia’, all’‘Essere in sé’ -. Ebbene, è sintomatico che il valore gematrico della parola delta (δελτα) sia pari a 340 (= 4+5+30+300+1): numero in cui compaiono entrambe le qualità suddette, moltiplicate per 10! E non basta! Poiché il dieci è numero riferito al Decalogo, che rappresenta la Legge che ordina l’Universo, il kosmos, è ben chiaro che il delta possiederà certamente un rapporto anche con tale aspetto. Ebbene, la parola dekalogos (δεκαλογος) ha un valore pari a 403 (= 4+5+20+1+30+70+3+70+200), in cui ricompaiono i soliti valori 3 – 4. Si noterà come tale numero sia del resto un ‘anagramma numerico’ del suddetto 340, proprio del delta!
        b) La lettera che si pone esattamente al centro dei valori dell’alfabeto gramma-numerico, considerandola cioè in relazione con gli estremi dati da Alpha ed Omega (valori 1 e 800), è la ypsilon (che vale infatti 400). Il geroglifico di tale gramma è Υ, il quale configura la posizione assunta dal Cristo crocifisso; ed è noto quanto sia usuale e significativa l’icona del Cristo in croce, posto sempre tra una Alpha ed una Omega.
        E così via!
        COSMO INTINI

  3. Carissimo Cosmo,

    è un articolo eccezionale. Davvero, molto interessante. Apre a prospettive misticamente elevate. Pur avendo sempre colto la non casualità tra i numeri del Santo Rosario – le cinque decine che moltiplicate per il numero trinitario Tre formano il quindici e le cinquanta Ave Maria che per lo stesso Tre trinitario formano il centocinquanta – non ero andato oltre queste semplici osservazioni. Il tuo articolo mi ha aperto una visuale ulteriore e te ne ringrazio.

    Volevo, approfittando dell’occasione, porgere una mia osservazione che non intende affatto essere critica, anzi intendere costruire in chiarezza. Forse è per una mia particolare sensibilità personale ma credo che le scoperte di Giovanni Reale sul “pitagorismo” di Platone debbono essere, in ambito cristiano, calibrate con la fede nella creatio ex nihilo che postula non l’emanazione degli esseri dall’Essere in sé – l’apofatico ed insieme catafatico “Io sono Colui che sono” dell’Esodo – ma la partecipazione di essi all’Uno (Unitrino, in ambito cristiano). In altri termini credo che il Molteplice che consegue dall’Uno perché tutto è già nell’Unità deve essere letto, non in senso plotiniano ovvero emanazionista, ma piuttosto nel senso dell’analogia-equovicità, ossia della “partecipazione”, che impedisce qualsiasi fraintendimento panteista, perché sottolinea l’abbissale distanza ed al contempo la stretta unione per partecipazione tra Dio e le creature. Volendo utilizzare la numerologia potremmo dire – lasciando, momentaneamente, da parte lo zero quale numero apofatico – che l’uno non emana il due, il tre, il quattro e così via ma che l’uno partecipa il due (1+1), il tre (1+1+1), il quattro (1+1+1+1) e così via. Se poi, cristianamente, si prende non l’Uno in sé ma l’Unitrinità potremmo numericamente siboleggiare la Santissima Trinità come 1 (+ 1+1) ed affermare che Essa partecipa il due scrivendo 1(+1+1) +1, partecipa il tre scrivendo 1(+1+1) +1 +1 e così via.

    Allo stesso modo la visione escatologica di sviluppo sacrale del molteplice verso la finale ricapitolazione celeste nell’Uno non può essere letta come riassorbimento, quindi annientamento, annichilimento, delle creature nell’Uno, nell’Unitrinità, ma come completa unione mistica tra l’Unitrino ed il molteplice sublimato, glorificato, non annientato. Come diceva san Paolo, citando il poeta pagano Aratro di soli, “noi viviamo in Lui, ci muoviamo in Lui, agiamo in Lui” ossia siamo in Lui ma altri da Lui benché ontologicamente partecipati da Lui.

    Un caro saluto ed a presto.

    Luigi Copertino

  4. Grazie Luigi. Effettivamente, se si vuol portare a frutto Platone ed Aristotele non si può non passarli attraverso le acquisizioni di S. Tommaso d’Aquino. Condivido con te la necessità di operare tale chiarimento.
    Del resto, come nell’opera da me citata non era nelle prerogative di G. Reale, pensatore cattolicissimo, andare oltre la contingenza di Platone, tanto tale mia citazione di Platone stesso non esulava dalla convinzione di dover sempre porre nel giusto equilibrio fede (= nell’accezione di ‘omologhia’ paolina ovvero di ‘gnosi ortodossa’ di Clemente Alessandrino, piuttosto che di ‘pistis’) e ragione (= nell’accezione di ‘intellectus’ tomista, piuttosto che di ‘ratio’ moderna di cartesiana discendenza).
    Il fatto è che oggi si è pure persa memoria della ‘scienza sacra’, di cui la gematria fa pienamente parte. E’ mia profonda convinzione, invece, che il recupero di tale approccio ermeneutico nell’accostarsi al Mistero cristiano possieda, tra le altre cose, la prerogativa di finalmente riportare la fede da un esclusivo momento di emozionalismo soggettivo (la ‘pistis’ cattolica sentimentalmente e luteranamente intesa) sino alla giusta sinergia con un’oggettiva capacità di ‘conoscenza’ (che si badi bene, non è affatto gnosticismo eterodosso), attraverso cui rendere più solida e motivata, per un gioco di rimbalzo e di virtuoso ritorno, la fede cattolica stessa. E’ sintomatico notare quanto la virile fede cattolica in Cristo dei nostri Padri sia sempre di più degenerata in un effeminato e sdolcinato soggettivismo, avulso dalle consapevolezze metafisiche e del trascendente, di pari passo al prevalere di una ‘conoscenza’ ridotta ormai esclusivamente a scientismo ateo, materialista e nichilista, finalizzato allo sfruttamento tecnico ed alla meccanizzazione ontologica, così come già denunciato da Heidegger.
    Ti ringrazio nuovamente e ricambio i saluti.
    Cosmo

  5. Devo ancora dichiararmi in disaccordo sul punto essenziale delle mie obiezioni. Ritengo ampiamente condivisibili, per la gran parte, le asserzioni fatte nel commento di risposta, con l’eccezione di quella, peraltro formulata de relato, secondo cui la “versione dei LXX” sarebbe più “attendibile” di quella ebraica: si tratta di una di quelle affermazioni che risentono della pretesa di certi filologi di conoscere meglio loro il testo originale dei testimoni manoscritti su cui dovrebbero basarsi, un po’ come se un fisico pretendesse di correggere i risultati dei suoi esperimenti per farli rispondere meglio alla sua teoria.
    A parte ciò, le affermazioni contenute nel testo, condivisibili, provano, però, a mio avviso soltanto quanto segue:
    1) la lingua greca ha un profondo valore sacro ed un essenza autenticamente simbolica per la tradizione cristiana.
    2) esisteva già prima del cristianesimo ed è stata ad esso trasmessa e adeguatamente adattata, una scienza dei numeri molto sviluppata.
    Il punto 2) ovviamente non significa che la scienza dei numeri sia stata anche una scienza delle lettere, a parte la circostanza, qui del tutto accidentale, che le lettere venivaro usate anche per indicare le cifre. Che non sia così. può constatarlo chiunque provi a leggere qualcosa delle testimonianze che ci sono pervenute sulle dottrine pitagoriche, dove non v’è traccia di interpretazione numerica delle parole.
    Quanto al punto 1), l’ho già detto nel formulare le mie obiezioni, non significa che la lingua greca sia “la lingua sacra” del cristianesimo in senso stretto e tecnico. Se si vuole, ci si può mettere d’accordo dicendo che essa è una “lingua sacra”, nel senso generico che essa ha un valore sacro e simbolico autentico. Ma non sembra che l’autore intenda le cose in questo modo, perché parla in maniera generalizzata di “gematria”.
    Perché una lingua possa essere intesa come lingua sacra nel senso tecnico, che permette un uso generalizzato del rapporto fra lettere, parole e numeri, sono necessarie, oltre le due sopra menzionate condizioni, anche le seguenti:
    3) essa deve essere la sola ed originaria lingua delle sacre scritture;
    4) deve trattarsi di lingua alfabetica e deve esistere un rapporto profondo fra le lettere ed i suoni della medesima lingua.
    Quanto alla condizione 3), è evidente che non stanno così le cose per la lingua greca nel cristianesimo. Non basta dire che essa ad un certo punto è stata “provvidenzialmente” utlizzata: qualsiasi adattamento tradizionale legittimo deve considerarsi provvidenziale. Rimane, però, un adattamento che non può essere confuso puramente e semplicemente con la tradizione originaria.
    Quanto alla condizione 4), solo la prima parte (il carattere alfabetico) è evidentemente vera per la lingua greca. Ho già fornito la ragione fondamentale di ciò nel mio primo commento e non ho visto contro obiezioni nella risposta, su questo punto.
    Ma che non esista, nella tradizione greca in generale ed in quella greco-cristiana in particolare, niente di simile alla gematria della Qabbalah o all’ ‘Ilm al-Huruf della Tradizione islamica, è ulteriormente dimostrato proprio dagli esempi che vengono citati nel commento di risposta. Perché, proprio laddove si ritrovano ampie trattazioni di scienza dei numeri, come nella “Scienza matematica comune” o nella “Introduzione all’aritmetica di Nicomaco”, di Giamblico, oppure nella anonima “Teologia Aritmetica”, oppure ancora, laddove vi sono affrontate le teorie sul simbolismo delle parole, anche nei suoni di cui esse si compongono, come nel Cratilo di Platone, mai, al di là di pochi casi isolati ed emblematici proprio nella loro eccezionalità, viene fatto un rapporto con i valori numerici delle lettere, in quanto componenti di una parola. Se dunque fosse esistita una gematria della lingua greca, bisognerebbe spiegare perché non ve n’è traccia, proprio là dove più ci si aspetterebbe di trovarvela.
    Non si tratta di una questione di principio, ma solo di una questione tecnica, che pure ha la sua non trascurabile importanza perché, in questi tempi di confusione, occorre fare ogni sforzo per evitare tutto ciò che in qualsiasi modo può accescerla. Se però, si volesse provare a convincermi di aver torto, occorrerebbe presentare esempi di trattazioni tradizionali precise, o almeno di un uso consistente e generalizzato da parte dei Padri del cristianesimo orientale di simili tecniche, così come io potrei facilmente fare con la Qabbalah e la Scienza delle lettere islamica. Confesso, di non averne mai incontrato nessuno, al di là di pochi esempi tassativi, sempre uguali e ricorrenti, che proprio nella loro particolarità di “giochi simbolici” confermano la loro eccezionalità e che è dato riscontrare nell’ermetismo alessandrino.

  6. Gentile amico… (ahimè, spiace il Suo reiterato celarsi dietro l’anonimato che mi impedisce di poterLa anche nominare), non mi dilungherò ulteriormente poiché ritengo inutile ed inopportuno star qui a replicare ad libitum: lo sterile ping-pong non giova a nessuno!
    In quello che Le anticipo essere pertanto il mio ultimo e definitivo intervento in risposta alla presente questione così come da Lei sollevata, tengo solo a rimarcare che la mia affermazione in merito alla ‘sacralità cristiana’ della lingua greca è frutto di constatazioni operate a supporto di una mia fede cristiano-cattolica già di per sé radicata e sperimentata, e non di teorismi tecnico-trattatistici né di tradizionalismi dalla forte connotazione relativistica su cui io sia andato ad erigere una personalissima pseudo-verità.
    La gematria di cui qui si parla non è ‘dimostrativa’ bensì ‘confermativa’; e lo è di una Verità oggettivamente
    esistente mio e Suo malgrado. Se tale approccio ermeneutico applicato alla lingua greca, E AD ESSA SOLA, permette di constatare in piena oggettività tale capacità di espressione del Mistero cristiano, non posso non desumere che esattamente tutto quanto da me già affermato; e ribadisco ciò proprio perché indipendente da qualunque soggettiva ed opzionale impostazione.
    D’altro canto, non mi meraviglia affatto che con l’incarnazione del Logos in Cristo Gesù si siano venute a verificare contingenze mai prima constatate in contesti pur tradizionalmente ortodossi. E’ proprio questa la naturale conseguenza del rappresentare suddetta incarnazione un UNICUM : la ricapitolazione di tutte le Tradizioni, che ne fa in assoluto e per sempre LA VIA, VERITA’ E VITA.
    Nondimeno, se questo è come annunciato il mio ultimo intervento sul tale questione specifica così come da Lei sollevata, Le preanuncio pure che Lei avrà modo di verificare ulteriori esempi di questa sacralità della lingua greca, così come da me desunta, da un prossimo ed imminente articolo che apparirà su queste stesse pagine.
    Per concludere, mi permetta almeno di smentirLa a proposito della supposta inesistenza “…nella tradizione greca in generale ed in quella greco-cristiana in particolare” di qualcosa “… di simile alla gematria della Qabbalah o all’ ‘Ilm al-Huruf della Tradizione islamica”. Infatti, nel libro I degli Oracoli sibillini (testi apocrifi dell’Antico Testamento scritti in greco, composti tra II e I sec. a. C. e rielaborati in ambiente cristiano tra il I ed il VI sec. d. C.), ai versetti 326-330, il nome di Gesù è sostituito dal numero 888.
    Essi ebbero grande fortuna presso i Padri della Chiesa, tra cui pseudo-Giustino, Teofilo di Antiochia, Clemente Alessandrino, Lattanzio, Eusebio di Cesarea, Agostino d’Ippona e Ambrogio da Milano, che li ritennero oracoli autentici.
    Cordiali saluti. Cosmo Intini

  7. Gentile signor Intini, il mio anonimato ha, tra le altre cose, la funzione di ricordare che attraverso la rete si rimane comunque sostanzialmente anonimi e, salvo forse il caso di persone che siano per altri versi personaggi pubblici, sostanzialmente non ci si conosce, indipendentemente dal fatto di apporre o meno il proprio nome. Se anche Lei potesse nominare un particolare nome (che potrebbe tranquillamente anche essere uno pseudonimo, senza potere Lei avere il modo di controllarlo), potrebbe forse avere l’impressione di conoscere qualcosa in più di me, ma sarebbe un’impressione falsa. Invece, così ci ricordiamo entrambi di non conoscerci e possiamo concentrarci sulle idee che esprimiamo, il che non mi sembra poi così male.
    Anch’io penso che il nostro “ping pong” come Lei lo chiama (io di solito lo chiamo “dialogo”), possa terminare, perché questa volta la Sua risposta mi è di piena soddisfazione.
    Lei chiarisce che il Suo modo di indagare i rapporti numerici delle lettere delle parole in greco nasce da una Sua personale esperienza di ricerca spirituale che io non posso, come tale, che rispettare. Il mio intento non è quello di gettare “censure” di qua o di là, ma di evitare che, in una situazione come questa, determinate cose, che possono essere affermate con le migliori intenzioni, contribuiscano a generare ulteriori elementi di confusione. Il punto essenziale, che Lei finisce sostanzialmente per confermare, nell’ultima parte della Sua risposta, è che l’utilizzo di questi rapporti numerici si limita, nella tradizione di lingua greca, a singoli casi particolari (che possono beninteso essere anche importanti, o ritrasmessi tradizionalmente da autore ad autore, ma rimangono singoli e da valutare caso per caso come nell’esempio da ultimo da Lei citato). Non si può, pertanto, in questo campo, che raccomandare la massima cautela, che, del resto, è consigliata persino nella stessa Qabbalah, dove l’utilizzo di tecniche anche molto complesse è sicuro e ben codificato (fra parentesi, mi era sfuggita la frase nella Sua precedente risposta, riguardo al fatto che gli ebrei considererebbero superato il Tanach: se ho capito bene ed è questo che intendeva dire, devo opporre anche su questo punto un ben motivato e totale disaccordo; ma perdoni lo scrupolo di precisione: non credo che cambi molto il nostro discorso in un senso o nell’altro). Lei ha, d’altronde, cura di precisare che il Suo uso di tali verifiche è confermativo e sono personalmente convinto che anche i futuri utilizzi, che ci preannuncia che appariranno su questo blog, non daranno luogo a risultati arbitrari, ma porteranno ad un esame misurato ed interessante, come è stato per l’articolo da cui è partita la nostra discussione. Deve però tenere presente che mettere in campo un’idea è sempre qualcosa che comporta una certa responsabilità, anche al di là dell’uso che se ne può personalmente fare, perché, una volta che l’abbiamo messa in piedi e le abbiamo assicurato i primi passi, quell’idea incomincia a camminare da sola sulle proprie gambe e se ne va per conto suo un po’ dove le pare. Per fare solo un esempio che credo sia molto attuale su questo blog, i filologi che, in alcuni casi, avevano espresso ipotesi (non sempre e necessariamente concepite in uno spirito antitradizionale) sulla possibile derivazione etimologica di alcune parole ebraiche, ben difficilmente avrebbero potuto immaginare che, dopo diversi anni, sarebbe arrivato un personaggio come Biglino, che. dopo averle accuratamente raccolte ed opportunamente stravolte e decontestualizzate, le avrebbe utilizzate per costruire un suo castelletto che, nonostante l’inverosimiglianza palese, fa perdere il lume della ragione ad una gran quantità di gente (atei e non). Le precisazioni a cui ha dato luogo il nostro “ping pong”, non mi sembrano, dunque, affatto inutili.
    Per il resto, aspetterò con interesse i Suoi futuri interventi sul blog, anche rispetto agli ulteriori accostamenti simbolici col valore numerico ricavato da quelli delle singole lettere greche che vorrà suggerire, accostamenti che, credo, saranno da valutare in concreto, caso per caso, come avviene del resto per altri accostamenti simili, anche non aventi rapporto diretto con i numeri, che si trovano sovente nel simbolismo di tutte le lingue che abbiano comunque un carattere tradizionale e sacro.

    Cordiali saluti.

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