“Ci vogliono 50 fulmini per creare la Sindone!”. Lo scienziato Giulio Fanti espone i risultati dei suoi esperimenti

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L’ennesima conferma dello straordinario Mistero nascosto nell’immagine del Lino conservato a Torino.

Per spiegare il segreto della Sindone servirebbero molti fulmini, forse cinquanta. Questo stando alle ricerche che alcuni ingegneri dell’Università di Padova conducono da sette anni per capire come si è formata la misteriosa immagine conservata nel duomo di Torino e venerata come corpo di Cristo dal 1147, quando Luigi VII re di Francia la vide la prima volta nella cappella del palazzo imperiale di Costantinopoli. Le ricerche continuano nonostante i tre esami al Carbonio 14 eseguiti in Arizona, a Oxford e a Zurigo, abbiano datato la Sindone tra il 1260 e il 1390. Non potendo disporre di 50 milioni di Volt – tanti dice l’ingegnere americano Igor Bensen servirebbero per riprodurre su un tessuto di lino (stando al metodo degli ingegneri padovani) un’immagine come quella della Sindone – il professor Giulio Fanti docente di Misure meccaniche e termiche al Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università di Padova, nel laboratorio Alte Tensioni diretto dal professor Giancarlo Pesavento usa un generatore che arriva a 500.000 Volt: metà dell’energia scaricata da un fulmine.

Il professor Fanti, già fondatore del Centro Interdipartimentale Studi e Attività Spaziali «CISAS G. Colombo», membro di gruppi internazionali per missioni spaziali e autore di tre libri sugli studi eseguiti per la Sindone, illustra gli oltre cento esperimenti che ha ideato: «Usiamo un tessuto simil sindonico prodotto dall’azienda torinese Liotex; lino con identico numero di fili e tramatura a spina di pesce della Sindone. Spalmato di olio, lo adagiamo sotto e sopra un manichino in scala 1:2 rivestito di vernice conduttrice a base di rame. Col manichino al centro di un campo elettrico attiviamo tante micro scariche: si determina così una luminescenza che genera sul tessuto macchie simili a quelle presenti sulla Sindone; solo che le nostre si concentrano in porzioni di 15 centimetri di lino in corrispondenza della testa e delle braccia. Per “impressionare” l’intero manichino alto un metro, la potenza andrebbe centuplicata». L’impronta della Sindone, secondo Giulio Fanti, sarebbe l’effetto di una fortissima energia sprigionatasi per brevi istanti, come dimostra quella riprodotta in scala nel laboratorio padovano. «Credo che sia il prodotto dell’”effetto corona”, qualcosa di simile alla scarica elettrica che genera ozono, un riscaldamento di circa 10 gradi, una luminescenza e un effetto acustico».

Così come sul sacro lenzuolo, anche su quello usato a Padova, le macchie formatesi non sono superficiali, ma interne al tessuto. Per il docente, nel caso della Sindone la radiazione è stata perpendicolare al corpo. Appaiono più scure solo le fibrille di lino a contatto col corpo per uno spessore di 200 nanometri (una misura infinitesimale), come se l’energia fosse venuta dall’interno di quel corpo: ciò dimostra anche che non si tratta di un falso. In questi giorni lo studio Fanti è stato pubblicato sulla rivista scientifica americana Journal of Imaging Science and Technology: ma è solo il primo atto, dice lo scienziato, dopo tanti anni di ricerche che il mondo accademico internazionale ha trascurato preferendo attestarsi sulle posizioni dei risultati del Carbonio 14. «A proposito della datazione di frammenti della Sindone – conclude – ho condotto uno studio statistico con i professori Fabio Crosilla dell’Università di Udine, Marco Riani dell’Università di Parma e Atkinsons di Londra, dimostrando che i dati ottenuti sui frammenti di Sindone trattati col Carbonio 14 non sono attendibili e in alcuni casi riportano anche errori di trascrizione».

Roberto Brumat
13 marzo 2012

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