A proposito del “castigo divino” (Provvidenza, Volontà e Destino)

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distruzione-sodomaOgni qual volta una catastrofe naturale colpisce la nostra terra, si ripropone a margine una sorta di teatrino pseudo-teologico e pseudo-filosofico dove orgogliosi atei prendono a scusa la tragedia per riaffermare che “Dio non esiste” e dove zelanti credenti si lanciano in altrettante quanto improvvisate “teodicee”. Di frequente, poi, alcuni credenti si propongono in ardite interpretazioni che vedono nella catastrofe di turno l’effetto (o il ”castigo” inflitto da Dio) per un determinato e specifico “peccato” compiuto dall’umanità: interpretazioni commoventi nel loro “zelo” ma spesso povere di contenuto e viziate da un antropomorfismo esagerato che appare banale e persino “urticante”.

La breve riflessione che vi proponiamo non intende, naturalmente, dissipare ogni dubbio sulla questione del “castigo divino” o sul cosiddetto problema del “male nel mondo”, ma vuole provare ad offrire una chiave di lettura più intellegibile e meno “sentimentale” rispetto a questi problemi, cosa che al giorno d’oggi sembra quasi sempre mancare.

 

PROVVIDENZA, VOLONTA’, DESTINO

Per prima cosa, bisogna capire che anche il senso del cosiddetto “castigo” divino va compreso alla luce dell’insegnamento metafisico per il quale tutti i fenomeni del mondo soggiacciono al potere della Triade Provvidenza/Volontà/Destino[1].

La Provvidenza è il riflesso nel mondo della Volontà del Dio personale, che indirizza gli esseri verso il Bene o, per meglio dire, verso il loro superiore destino di “realizzazione spirituale”. Il termine “bene”, infatti, se interpretato a partire da coloriture soggettive e sentimentali, può indurre degli equivoci, perché non tutto quello che appare come “piacevole” per l’essere individuale è anche “benefico”, così come non tutto quello che appare ad un dato momento come “sgradevole” è necessariamente “malefico”. Il bene ed il male, infatti, sono tali non in base alla mutevole (e quindi illusoria) percezione individuale, ma solo alla luce del Bene Supremo che è la Realizzazione dell’essere nell’Assoluto o anche, sul piano immediato, della sua Salvezza.

Il cosiddetto Destino, al contrario, non è altro che l’insieme delle determinazioni e della catena inesorabile delle cause e degli effetti che impone al mondo la legge della necessità: una legge che è “cieca” e “impersonale” –di per se né benefica né malefica- ma che l’essere individuale percepisce come “spietata” perché caratterizzata dal continuo alternarsi di nascita e morte, formazione e distruzione e dallo scorrere terribile del tempo che tutto consuma (Cronos che divora gli stessi figli da lui generati). Si tratta di quella forza inesorabile che così bene descrive, nel suo linguaggio tragico e poetico, Giacomo Leopardi quale forza “che illude e disillude”; forza che pure è indispensabile su questo mondo e su questo piano di realtà affinché gli esseri vengano generati e possano manifestarsi per il tempo a loro stabilito (così, ad esempio, le stesse forze che danno origine alle montagne e ai continenti sono anche quelle che li sgretolano e distruggono sotto forma di terremoti).

Inoltre, dev’essere “compresa” nell’ambito del Destino anche quella catena indefinita di cause ed effetti provocati dall’agire e dalla volontà dei vari esseri (uomo in primis) che determina certe ricadute non solo sul piano meramente “materiale”, ma anche su quello “sottile” e spirituale (da cui, ad esempio, la percezione che si ha a volte di una “maledizione” che pesa su determinati esseri, famiglie o persino luoghi, o l’idea che atti ormai passati “prolunghino” i loro effetti di individuo in individuo o di generazione in generazione[2]).

All’incrocio tra Provvidenza e Destino, infine, vi è la terza potenza che determina il divenire di questo mondo che è la Volontà degli esseri senzienti, nel caso specifico dell’Uomo. La Volontà umana vede nel Destino un “nemico” e una forza oscura che la imprigiona: è quello che i Greci indicavano come Ananké (il fato strangolatore[3]), forza cieca che determina la vita di tutti gli esseri e che li conduce inevitabilmente alla dissoluzione. Ma c’è una possibilità a cui l’Uomo può e deve attingere: quella per la quale, “alleandosi” con la Volontà divina rappresentata dalla Provvidenza, la volontà umana può sciogliere le catene del fato cieco e sfuggire al destino di distruzione ad esso correlato.

 

COSA SONO IL “DIVINO CASTIGO” E  LA “DIVINA PUNIZIONE”?

Per l’essere umano che “ha scelto” di porsi dalla parte della Divina Provvidenza, dunque, il Destino non è più una forza invincibile, così come qualsiasi altra determinazione “naturale”. L’esperienza concreta di innumerevoli “miracoli” in cui, con la forza della Fede e della preghiera, le stesse leggi apparentemente inesorabili della natura sembrano sospendersi o annullarsi, dà l’idea di cosa vogliamo intendere.

E tuttavia, questo non significa affatto che l’uomo “alleato con la Provvidenza” sia definitivamente liberato da ogni tribolazione: alcuni drammi, certamente, potranno essere evitati, ma altri sono permessi da Dio al fine di elevare l’essere e condurlo all’unico e vero Bene che è sempre –non dimentichiamolo- Dio stesso, perché, come dice San Paolo, “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”[4].

Al contrario, l’uomo che si volge dall’altra parte –che “rifiuta” la Provvidenza- finisce necessariamente e inesorabilmente per essere dominato dal Destino e dal suo insieme di determinazioni necessitanti; un Destino che può apparire a tratti “piacevoli” e a tratti “doloroso” ma che, in ultimo, conduce inevitabilmente verso la distruzione e –cosa ben più temibile- verso la Seconda Morte che attende, dopo quella fisica, l’individuo che è “lontano da Dio”.

Per questo motivo, la vera “punizione divina” è l’essere “abbandonati” alla terribile legge del mondo, al Destino che illude e consuma; e per questo, nelle Scritture, spesso la “punizione” che Dio infligge all’uomo empio è quella di abbandonarlo a se stesso (“ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore” recita l’inno del Magnificat).

Ma alla luce di quanto detto, cosa rispondere a chi afferma –o al contrario nega- che le catastrofi e le sventure possano essere una “punizione” divina? Un terremoto, un alluvione, un’epidemia che colpisce indiscriminatamente possono essere considerati “vendette” divine?

Certamente, una singola sciagura può anche essere letta, alle volte, come un “divino castigo”, in cui la Provvidenza divina “abbandona” l’uomo alle conseguenze inesorabili del Destino: ma la nostra valutazione da cosa dipende? Dipende solo da quanto un evento appare a noi piacevole o sgradevole? E perché non pensare che uno stesso evento possa costituire, a seconda di chi lo subisce, un “castigo”, un “ammonimento” o addirittura un’occasione di perfezione?

Lo stesso termine “castigo”, secondo una certa etimologia, rimanda all’espressione “essere casto”, essere “purificato”: quello che per l’empio, dunque, è solo causa di disperazione e rovina, per un altro individuo può essere causa di ravvedimento e di cambiamento e, per un altro ancora, causa di perfezione.

Tutto ciò che accade, in realtà, è lì solo per ricordarci (e tutto è vano in questo mondo se non il “ricordo di Dio”) che l’Uomo è un essere chiamato a scegliere: o con Dio o con le forze cieche della dissoluzione e della morte. Tertium non datur.

 

[1] Naturalmente, bisogna comprendere che, su un piano ancora più elevato e universale, nulla sfugge alla Volontà Divina e che pertanto sia il Destino apparentemente “cieco”, sia le scelte degli esseri individuali sono comunque “compresi” nell’Infinità delle possibilità divine.

[2] E’ questo, tra l’altro, uno dei sensi della dottrina orientale del Karma (termine che letteralmente significa “azione”, ma che può anche intendersi come l’insieme delle “conseguenze delle azioni”).

[3] Dalla stessa radice indoeuropea, viene la parola italiana “anaconda”, che indica per eccellenza il “serpente strangolatore”, e l’inglese to hang, “impiccare”.

[4] Romani 8, 11

[5] Luca 1, 68

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5 commenti

  1. Pingback: A proposito del “castigo divino” (Provvidenza, Volontà e Destino) « www.agerecontra.it

  2. L’incapacità di comprendere la generosità preziosa del castigo divino da parte degli uomini moderni è direttamente imputabile alla corruzione del concetto stesso di causalità.
    Delle quattro cause che conosceva Aristotele, la sola causa efficiente si è conservata e questa, è stata a sua volta completamente stravolta nel suo significato; fino a renderla indistinguibile da una mera associazione sintattica. Già nelle trattazioni de consequentiis del trecento e quattrocento il rapporto di causalità tende ad essere ridotto a “consequentia materialis”, cioè ad una forma di implicazione logica. Il rapporto causa/effetto invece di risultare da una realtà semantica, da una cosa, la causa che nel riversare fuori da sé le ragioni della sua essenza, produce il motivo di esistere dell’effetto, che conserva dunque in sé, rinnovata, una parte della realtà della causa, diviene un nesso già dato, fin dall’inizio, in una regola astratta, già esistente in qualche modo ed in qualche dove, nel passato, prima della causa e dell’effetto. Questo modo di pensare porterebbe logicamente all’assurda conclusione che l’effetto, il prodotto della causa, ciò che succede, il futuro, non abbiano e non possano avere in sé niente che non sia in tutto esistente già fin dall’inizio, non siano, dunque, niente di veramente nuovo ed in definitiva, come tali, non esistano.
    Se si recupera, per un attimo, il concetto di una causalità che non si esaurisce in un tempo solo (il passato), ma si può comprendere e spiegare realmente soltanto nella triplicità del tempo, passato, presente e futuro, e sintetizzarsi così solo in ciò che è al di là del tempo, si comprende anche subito che il destino non può in alcun modo esaurire il motivo e il significato del dispiegarsi degli eventi e delle cose. Il destino rappresenta tutto ciò che è ontologicamente anteriore e presupposto ad una cosa e che ne determina ed esprime, per così dire, la finitezza. Esso non può proprio per questo esaurire la realtà di questa cosa che in quanto è una cosa nuova, che non è riducibile a tutto il resto che c’era già, rappresenta l’inspiegabile e la pietra d’inciampo per tutto questo arrogante e preteso universo preeesistente. Essa si può solo comprendere nel vero Universo che ora si eleva nel presente e si dispiega nel futuro. In un legame che in sé è sovratemporale, la causa pro-duce l’effetto e l’effetto qualifica e spiega la causa. Il passato determina in una certa misura il presente ed il futuro, ma ne è a sua volta, di ritorno, reinterpretato e completamente riqualificato. Ogni attimo presente ha in sé la virtù del risveglio da un sogno: dopo quel risveglio, niente delle immagini e delle esperienze oniriche che abbiamo vissuto è apparentemente cambiato, esse sono là, esattamente quali erano nelle sensazioni ed immagini che avevamo provato. Però, prima erano per noi la Realtà ed adesso sono solo un sogno: niente è cambiato in esse eppure niente è più quello che era prima, perché le cose sono veramente soltanto nel loro essere nella Totalità.
    Non possiamo prevedere fino in fondo quale sarà l’effetto della causa, non per una specie di accidentalità del mondo, come pensava Boutroux, ma perché non possiamo conoscere fino in fondo la causa, senza conoscere l’effetto. Il conoscere “per causas” di Aristotele, non era una pretesa di previsione degli effetti, come per i moderni, ma al contrario e all’indietro, un conoscere gli effetti attraverso il loro rapporto con le cause e le cause, attraverso la reale comprensione degli effetti.
    Ecco perché la Volontà presente, può, alleandosi con la Provvidenza, cambiare il Destino, in realtà non annullandolo affatto, ma spiegandolo e qualificandolo, dotandolo di un significato completamente nuovo nella Totalità e “trasformandolo”. La provvidenza, a sua volta, non è, nella concezione originaria, una sorta di predeterminazione del futuro, ma una risignificazione ontologica totale del passato, alla luce dei fini futuri. Se il Destino è come una prigione da cui evadere, quella della finitezza, la Provvidenza è la libertà del fine profondo e del vero volto delle cose, quello che le riconnette al loro Principio infinito. In effetti, il fine di ogni cosa finita coincide con il suo pieno svolgersi nel riconoscimento dei propri limiti, che è anche il riconoscimento che la Realtà la supera infinitamente. In questo esito vi è il suo nirvana: il fine e la fine di ogni cosa determinata coincidono pienamente. E’ questo il significato nascosto della crocifissione.
    Si può allora anche riscoprire il significato profondo di un altro tipo di causa: la causa finale, la più importante di tutte le cause, secondo Aristotele. Una causa scandalosa, per i moderni, perché essa risiede nel futuro, anziché nel passato. Come tale, sfugge completamente ad ogni proposito di dominio da parte della volontà di potenza. Per questo motivo è la più odiata ed avversata, fin dall’inizio dalle forze responsabili della costruzione dell’edificio della modernità.
    Se esaminassimo le testimonianze storiche di come, in un lontano passato, è stato inteso e invocato il castigo divino, scopriremmo che, prima del quattrocento, esso non era invocato sugli altri, ma su di sé. Invocare e riconoscere il castigo divino era tutt’uno con il placarlo, e non per un rapporto antropomorfico con un Dio che non era più in collera. Si trattava invece di un supremo atto di speranza: che qualsiasi dolore o sofferenza, qualsiasi umiliazione e sconfitta, la morte l’afflizione e la disperazione, potessero, per una potenza senza fine nascosta nelle cose, assumere un significato ed un senso e le cose stesse rivelare un volto nuovo. Il male faceva ancora male, ma si spiegava in una giustizia e nei peccati che chi lo subiva cercava di scoprire in sé, non per colpevolizzarsi, ma per poter riconoscere la propria potenza di vincerlo. Il digiuno, la penitenza, la purificazione, erano atti volti, non ad autopunirsi per sostituire la propria alla punizione divina, come sembra in effetti essere avvenuto in tempi più recenti, ma strumenti per raggiungere uno stato ontologico nuovo, in cui accedere a quel senso nascosto delle cose, in cui la natura umana, rigenerata e purificata, poteva ritrovare la realtà pacifica ed armoniosa dell’Universo. E tutte quelle cose orribili che si stavano vivendo, all’improvviso, facevano meno paura: adesso avevano un fine ed una fine. Avrebbero afflitto forse ancora per qualche tempo il corpo, ma già non potevano veramente più nulla sullo Spirito dell’uomo. Sarebbero allora finite. Un po’ come svegliarsi d’un tratto da un brutto sogno.

  3. La volonta’ umana, a mio avviso, e’ purtroppo viziata dalla Ignoranza, pertanto e’ solo con la Preghiera e la Fede che si puo’ desiderare un aiuto Superiore che possa guidare la Volonta’ e l’Azione umana.
    Dovremmo diventare una specie di pilota telecomandato, ma senziente, in grado di capire la Luce, Crederle, farla propria e tradurla in atti, per libera scelta

  4. Il male esiste perchè questo mondo è sotto il potere, sì di un dio…ma quale?! Come dicono le Scritture, è sotto il potere del malvagio, “Satana” (= dall’ebraico “shatan” oppositore) a cui è stato dato il potere da Adamo&Eva in Eden..Le Scritture parlano chiaro:

    Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno.
    (1 GIOVANNI 5:19)

    Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni; perché essa mi è stata data, e la do a chi voglio.
    (Luca 4:6)

    -Il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù; fu gettato sulla terra, e con lui furono gettati anche i suoi angeli.
    (Apocalisse 12:9)

    -Perché il diavolo è sceso verso di voi con gran furore, sapendo di aver poco tempo.
    (Apocalisse 12:12)

    Inoltre sappiamo sempre dalle Scritture, che YHVH desidera solo il Bene per le sue creature, e cioè che tutti possano pentirsi e ravvedersi per avere la Vita Eterna.
    Ciò non significa,quindi che alcuni uomini sono predestinati alla vita eterna e altri alla morte eterna…ma piuttosto che decidono di non fare parte della Salvezza.

    …non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento.
    (2Pietro 3:8-9)

    …infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo.
    (EFESINI 2:8-10)

    Ma se l’uomo non vuole questo Bene, significa che preferisce le tenebre alla luce come dice la Scrittura:

    Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
    (Giovanni 3:19)

    Per cui parlare di “Leopardi” (seppur usando il sopra citato versetto di Giovanni ne “La Ginestra” 1836) di “Destino” (parola puramente pagana), “Volontà” (Schopenhauer), quanto è pertinente per avvicinarsi alla Verità? Sì, ci sono tante verità, ma solo una ha la lettera maiuscola e segue il vero Bene e sicuramente non lo troviamo nelle filosofie del mondo ma nella Scrittura che parla della Verità! (Io sono la Via, la Verità, la Vita: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me).

    Vediamo un esempio: in questo versetto (Isaia 65:12) “Io vi destino alla spada e vi piegherete tutti per essere scannati;poiché io ho chiamato, e voi non avete risposto;ho parlato, e voi non avete dato ascolto; ma avete fatto ciò che è male ai miei occhi e avete preferito ciò che mi dispiace”

    In questo versetto tradotto in italiano leggiamo “io vi destino” come se questi uomini fossero condannati inesorabilmente a morte. Ma capendo a fondo tutto il discorso andando a leggere successivamente la frase, vediamo che tutto ciò sta loro per accadere, perchè hanno preferito il male! Quindi torniamo al punto di partenza: YHVH non vuole il male, ma è l’uomo che sceglie di compierlo! Inoltre se vediamo la parola ebraica, qui tradotta malamente col verbo “destinare” è וּמָנִ֨יתִי (Transliteration: umāniyṯiy) che significa semplicemente “annoverare”, “numerare”, “contare”.

    “esaminate ogni cosa e ritenete il bene” (1Tessalonicesi 5:21)

  5. Nella Bibbia, libro straordinario contenente le verità dello Spirito, c’è una speciale stanza avvolta di mistero e di meraviglie che eccitano l’immaginazione facendo toccare altezze vertiginose ed inebriando il visitatore davanti alla grandezza del ritratto spirituale. Tale stanza è l’Apocalisse, sinonimo di “giudizio divino”…

    Nel suo significato profondo rappresenta la manifestazione dei misteri divini inaccessibili alla mente umana.
    La battaglia finale del giudizio divino non è una battaglia fisica:
    il combattimento del vero discepolo di Yahushua non è rivolto verso carne e sangue, ossia non è contro l’uomo biologico, o contro gli elementi materiali, né ha nulla a che vedere con la violenza fisica. Il conflitto non ha nulla a che fare con magie, incantesimi, esorcismi, stregonerie, sortilegi, spiriti incarnati, fantasmi e cose simili, che sono condannate già da Eloah per l’infondatezza assoluta dei loro presupposti. Satana è molto più astuto e le sue manifestazioni più pericolose sono quelle delle superstizioni vuote e facilmente riconoscibili.

    La sede del combattimento è piuttosto la nostra coscienza, il nostro spirito, la nostra volontà. E’ qui che si agitano le forze invisibili del male che cercano di prendere piano piano possesso di noi e ferirci in maniera mortale:

    “Ciascuno invece è tentato quando è trascinato ed adescato dalla propria concupiscenza. Poi quando la concupiscenza ha concepito partorisce il peccato e il peccato, quando è consumato genera la morte” – (Giacomo 1:14-15)

    Leggi altro:
    http://www.assembleadiyahushua.it/il-vero-significato-di-harmagheddon/#ixzz4lyNFZZHo