LA “TRASMIGRAZIONE” E LA “PARABOLA DELLA TARTARUGA”

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La cosiddetta parabola della “tartaruga cieca”, presente nel Canone buddhista, è interessante in quanto spesso ignorata dagli occidentali (e soprattutto dai sostenitori della cosiddetta “reincarnazione”, ovvero l’idea che un essere -nello specifico un uomo – possa passare più volte da uno stesso “stato dell’essere”. Tale idea é chiaramente confutata dalla presente “parabola” che insegna, al contrario, quanto sia difficile per un essere ricevere il “dono” di una nascita umana e come essa non vada in alcun modo sprecata.

In effetti, la presenza nel Buddhismo dell’idea (invero molto “occultista”) delle “indefinite reincarnazioni” é soprattutto un luogo comune. Anche nel Buddhismo, come in tutte le realtà davvero tradizionali, lo Stato Umano è infatti un dono rarissimo e pressocché unico, l’unica condizione dalla quale é possibile ottenere la Liberazione o quantomeno la “salvezza” (ovvero, il fuggire dallo sprofondamento negli stati inferi).
Il passo é tratto dal “Sutta Pitaka”. Majjhima Nikāya, 129:
Immaginate”, disse il Buddha ai discepoli:
“C’e’ nell’oceano, o monaci, una tartaruga, cieca da entrambi gli occhi, che s’immerge nelle acque dell’immenso oceano nuotando incessantemente in ogni direzione, dovunque il capriccio la possa portare. Nell’oceano c’e anche il giogo d’un carro che galleggia senza posa sulla superficie delle acque ed e’ trasportato in ogni direzione dalle onde, dalle correnti e dal vento. Entrambi, la tartaruga e il giogo continuano a muoversi per un incalcolabile lasso di tempo: casualmente avviene che nel corso del tempo il giogo arrivi nel luogo preciso e nello stesso momento in cui la tartaruga emerge e le si infili nel collo. Ora, monaci, e possibile che cio’ accada?”.
“Nella verita’ convenzionale, signore, e’ impossibile: ma essendo il tempo interminabile, e la durata d’un eone cosi’ lunga, si puo’ ammettere che, forse, una volta o l’altra, sia possibile che i due si incontrino, come detto; se la tartaruga cieca vive abbastanza e il giogo non marcisce e non si rompe prima che avvenga una tale coincidenza.”
Allora il Buddha disse:
“Monaci, una tale coincidenza non deve essere ritenuta poi cosi’ difficile, perche’ ce n’e’ un’altra peggiore, piu’ ardua, cento, mille volte piu’ difficile, a voi sconosciuta. E qual é? E’, o monaci, l’opportunita’ di rinascere di nuovo come uomo per un uomo che sia spirato e rinato anche una sola volta in uno dei reami inferiori d’esistenza. La coincidenza del giogo che s’infila nel collo della tartaruga cieca non si puo’ reputare cosi’ difficile a confronto con quest’altra. Perche’ solo coloro che fanno il bene e s’astengono dal male possono ottenere un’esistenza da uomini o da dèi. Gli esseri dei quattro reami miserandi non possono discernere cio’ che e’ giovevole e cio’ che non lo e’, cio’ che e’ bene e cio’ che e male, cio’ che e’ consapevole e cio’ che e’ compulsivo, cio’ che apporta merito e cio’ che crea demerito e, di conseguenza, vivono una vita di compulsione e demerito tormentandosi l’un l’altro con tutte le loro forze. Le creature dell’inferno e gli spiriti, in particolare, vivono vite molto miserabili a causa di tormenti e punizioni che sperimentano con pena, dolore e disperazione.
Percio’, monaci, l’opportunita’ di rinascere sul piano degli uomini e’ cento, mille volte piu’ difficile da ottenere dell’incontro della tartaruga cieca col giogo.”

 

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56 commenti

  1. Pingback: LA “TRASMIGRAZIONE” E LA “PARABOLA DELLA TARTARUGA” | MENADEL PSICOLOGÍA Clínica y Transpersonal Tradicional (Pneumatología)

  2. Ancora uno spunto molto interessante, come avviene sempre in questo blog.
    E’ un vero peccato, che, salvo il raro caso in cui sfiorino, incidentalmente, argomenti “di moda”, i post non ricevano molti commenti. Ma forse, questa è una conferma della loro qualità.
    Riguardo al post in discorso, credo di dovere fare alcune precisazioni.
    Innanzitutto, il tenore del racconto potrebbe fare pensare che, per quanto difficilmente, possa avvenire che uno stesso “Essere”, passi una seconda volta nello stato umano. In realtà, il discorso del Buddha ha in vista non un essere fra gli altri, ma l’Essere unico ed universale che è il vero protagonista (anche se in Sè stesso, immodificato e non compromesso da alcuna trasmigrazione), di tutti i passaggi di stato e quindi di tutte le “incarnazioni” umane.
    Sarebbe invece impossibile pensare che uno stesso Essere, cioè una stessa predeterminazione di questo Essere Unico, essa stessa, del resto, sovraindividuale (quello che gli indù chiamano Atman), possa attraversare due volte lo stesso stato dell’Esistenza Universale. La dimostrazione di ciò è molto interessante, ma alquanto difficile da esporre e, almeno per il momento, la tralascerò, avvertendo soltanto che essa si trova esposta nel libro Erreur Spirite di R. Guénon.
    Credo invece di potere affrontare qui la tesi, ancora più strana, secondo la quale questo “ritorno” possa essere compiuto addirittura dallo stesso individuo, cioè quello che i moderni considerano (impropriamente) la loro identità individuale, che passerebbe semplicemente da un corpo all’altro (sia esso un corpo di uomo, di animale o, secondo i più estremisti, persino di un oggetto c.d. “inanimato”: “il gentile mantello che coprì le spalle di qualcuno”, cantava Battiato sulle parole di Sgalambro).
    Ora, se la confutazione rigorosa di questa idea discende come corollario da quella dell’impossibilità metafisica del ritorno del Principio personale di qualsiasi essere in un medesimo stato, a cui ho accennato sopra, qui mi sembra sufficiente far considerare le implicazioni che l’idea di un ritorno in diverse incarnazioni di una medesima “anima individuale” (che è poi l’idea reincarnazionista più diffusa) ha nei presupposti culturali che, semplicemente, la fanno sembrare plausibile e non assurda agli occhi degli uomini moderni. Questi presupposti, sono anche quelli che rendono difficile accorgersi del fatto che, persino fra le masse popolari dei comuni indù o buddisti, nessuno crede a tale idea, anche se per un problema di reciproca incomprensione linguistica, questo può essere difficile da riscontrare.
    Il punto essenziale è che immaginare un’anima che passa da un corpo all’altro, rimanendo (più o meno) la stessa, cioè mantenendo, per quanto in modo minimale, la propria “identità”, presuppone l’idea di questa anima come una realtà in sè totalmente astratta ed indipendente dal corpo, secondo il modello già esposto chiaramente da Cartesio. Una res cogitans ai comandi di un corpo macchina, che non ha altri contatti con essa che il Joystick della ghiandola pineale, o altro dispositivo di “controllo” che si voglia (più o meno gratuitamente e problematicamente immaginare. Si tratta del modello che il filosofo Gilbert Ryle ha efficacemente definito (The Concept of Mind, 1949) “The ghost in the machine” , il fantasma nella macchina. Che cosa sarebbe, infatti, questa res cogitans aleggiante senza nesun essenziale contatto con il mondo corporeo, su un corpo che funziona per conto suo come una macchina, controllato ma indipendente, in sè, da essa? Questo individuo “astratto” è anche quello che può, ad es. (sempre nel curioso immaginario degli uomini moderni) passare (con idonea macchina del tempo) dalla sua epoca ad una qualsiavoglia epoca del passato o del futuro, senza subire alcun significativo cambiemento (per non dire sconvolgimento) interno. Tutto, il tempo, le relazioni esistenziali e ontologiche con gli altri esseri, persino lo stesso corpo individuale, sono, in questa singolare visione, come un semplice vestito, che può essere indossato, dismesso o sostituito, da questa “anima individuale” che, in effetti, si reputa assoluta, e dunque potenzialmente in grado di dominare l’Universo, soggetto a regole prefissate da cui essa stessa non è toccata; e che perciò può viaggiare liberamente (al solo patto di avere i mezzi adeguati), da un tempo all’altro o anche da un corpo all’altro, immodificata, come avviene invece, nella realtà, per il solo Essere Universale sovraindividuale di cui essa ha preteso, per questa via, occultamente, di usurpare il posto.

  3. Non conoscendo la parabola in questione non la commento, rischierei di dire cose sbagliate ed innescare inutile polemiche.
    Rimane vero il concetto di karma ben radicato nel buddismo e che si risolve di vita in vita, giungendo al Dharma.
    Anche qui dissento dal concetto di Dharma che, in un’intervista, l’autore di questo sì da: Lui sostiene che il Dharma sia, se ricordo male mi corregga la prego, l’azione nella vita dell’individuo.
    In realtà il Dharma è qualcosa di più completo: è il flusso karmico purificato che, da azione riparatrice dei torti fatti, sopratutto in vite precedenti, diventa invece possibilità di azione positiva, d’aiuto verso gli altri “Santa” appunto Dharma.
    L’iniziato buddista, risolto tutto il suo karma, attraverso (scusi se insisto ma non è per polemica) le varie vite, si trova di fronte alla possibilità di non incarnarsi più, oppure tornare sulla terra a svolgere un Dharma che aiuterà il prossimo.
    Forse la parabola si riferisce proprio, potrei non averla capita, all’individuo realizzato che molto difficilmente tornerà a formare un karma nella vita materiale, avendo di fronte ben altre possibilità.
    Spero di aver dato il mio contributo. Non voglio assolutamente polemizzare. Lei mi è piaciuto tantissimo sull’intervista che ha fatto sulla dissoluzione dell’essere e della società.
    Cordialmente Massimo

  4. Salve faccio fatica a capire questo discorso
    secondo voi non c’è un ripetersi di esistenze? Non c’è un’anima? Che assume dei corpi per potersi completare?
    Fatemi capire.

    • Salve a Lei, io più che convincerLa di una tesi o di un’altra, vorrei farLa riflettere sulle implicazioni di quella che comunemente passa come ipotesi della “reincarnazione”. Prima di chiederci, infatti, se esiste un’anima, sarebbe utile metterci d’accordo su cosa sarebbe per noi “un’anima”, qualora esistesse, non trova? Altrimenti, sarebbe come se mi chiedessi se esiste un “XYZ” senza aver chiarito che cosa sia. Certo, quando si parla di anima, sembra che tutti capiscano, ma sfiderei chiunque a fare un sondaggio su campione rappresentativo della popolazione, ad es. italiana (ma varrebbe un po’ per tutto il mondo globalizzato), chiedendo cosa sia “un’anima”, ed ottenere una risposta sufficientemente univoca e comprensibile. Dunque, immaginiamo che esista qualcosa che definiamo “anima” e che abbia la caratteristica di essere unita ad un corpo, ma in maniera sufficientemente superficiale da potere essere staccata da questo corpo e passare in un altro, anzi molti altri, rimanendo tuttavia sempre “la stessa anima”, magari un po’ più “evoluta”, come dicono i reincarnazionisti, ma sostanzialmente la stessa anima individuale, lo stesso individuo, insomma. Il corpo non sarebbe che una specie di vestito, magari un po’ … difficile da togliersi, ma niente di più. Conseguenza ulteriore sarebbe che questa anima sarebbe se stessa indipendentemente da qualsiasi elemento di storia, cultura, rapporti personali, in definitiva di tutto ciò che rappresenta il tessuto concreto della nostra umanità. Questa individualità sarebbe al di sopra (o al di sotto) del tempo e della storia e potrebbe svolazzare da un’epoca all’altra, come gli uomini di oggi passano da un canale della televisione all’altro, col telecomando. Poi, possiamo decidere anche quanto potrebbe svolazzare: magari potrebbe andare non solo in corpi umani, ma anche di animali e persino di cose. E rimanere sempre,, essenzialmente, la medesima. Lasciamo pure perdere la teoria che è difficile affrontare su internet, ma sarei seriamente interessato io a capire: davvero Lei si sente un’entità così astratta e priva di identità concreta da poter essere (o essere stato) un giorno, una prostituta egizia, un grande artista del medioevo, una formica, un serpente a sonagli o un pipistrello? Se è così, Le devo riconoscere che è in ottima compagnia, perché probabilmente Cartesio in persona, quando aveva in mente la sua res cogitans, anche se non credeva nella reincarnazione, non aveva un pensiero poi così diverso. E mi sono dovuto convincere, con grande stupore, che la maggior parte degli uomini di questo tempo, almeno in Occidente, pensano davvero così. Personalmente, Le posso dire solo come l’avverto io, il pensiero di un’anima concepita così: proprio nel modo in cui il filosofo Gilbert Ryle (The Concept of Mind, 1949), aveva ricostruito l’idea cartesiana: un’anima che sia così “astratta” rispetto al corpo e alla concretezza della Storia, mi sembra una sorta di fantasma che si muove all’interno di un corpo che, in definitiva, essendo così interscambiabile, potrebbe anche non essere più il suo di quanto non sia di un altro, un mero strumento inanimato (in sè stesso), niente di più che una macchina azionata dall’anima fantasma. E tale, infatti, era per Cartesio, e tale è tutt’oggi per gli uomini moderni: non si dice comunemente che il corpo è una macchina meravigliosa?. Un fantasma che svolazza dentro una macchina e passa da una macchina all’altra, eventualmente è questa l’idea che mi sembra abbiano gli uomini di se stessi (anche quando non credono nella reincarnazione). Un fantasma nella macchina, scriveva appunto Ryle, A ghost in the machine…
      Se Lei si riconosce in una idea del genere, Le sarò immensamente grato se vorrà descrivermi come la concepisce o come la sente compatibile con la concretezza della Sua umanità, in quanto sono sinceramente e seriamente interessato a comprendere questo aspetto del pensiero oggi diffuso che mi resta davvero oscuro.

      • Bene intanto grazie della risposta però non capisco cosa Lei intenda per Anima .la mia concezione di anima è quella parte dell’uomo che insieme allo Spirito e al corpo lo costituisce.Il termine reincarnazione è fuorviante ,si dovrebbe parlare di preesistenze. La Carne viene assunta una volta non tante volte.non si esce da questo piano finché l’anima è attratta dai desideri egoistici di questo mondo come dice il Signore e Maestro Gesù il Cristo. Per quanto riguarda che l’anima entri in vestiti animali o in cose io non l’ho mai detto e non lo penso ,sono concezioni orientali che forse avevano il loro valore prima dell’avvento del Cristo. Alla prossima.

        • In realtà, non si tratta neppure di vere concezioni orientali. Il problema sta appunto nel concetto di anima. Non ho voluto appositamente definirla, proprio perché vorrei evitare di impelagarmi in una discussione troppo complessa per essere svolta in questa sede.
          La cosa fondamentale, però, è chiedersi quali sono i limiti dell’individualità. Lei scrive “La Carne viene assunta una volta non tante volte.” Ma la domanda reale è se stiamo parlando anche di un solo corpo individuale, per ogni anima, oppure se la Carne di cui Lei parla comprenderebbe molti corpi. Se non si fosse nella prima ipotesi, ma nella seconda, la conseguenza inevitabile sarebbe quella di sganciare l’unicità dell’anima da quella del corpo. Questo significa fare del corpo un accidente o un’entità astratta (in realtà avvengono entrambe le cose: il corpo concreto viene considerato un accidente e il corpo “essenziale” o preteso tale diviene qualcosa di molto astratto). Anche se non si arriva a pensare alla reincarnazione in animali o cose, le mie osservazioni riguardo all’astrattezza della individualità così concepita rimangono valide.

          • Sto parlando della prima ipotesi cioè che il Corpo è uno e l’Anima è una, ma questo non significa che non posso assumere più vestiti . bisogna distinguere il Corpo dai vestiti
            Ma sono d’accordo con Lei non si può trattare certi argomenti su un blog ma di persona. Pace e bene

      • FRANCESCOM on

        Buon giorno,
        interessante, che in realtà significa condivisibile (da me che enuncio), quello che scrive.
        Eppure, proprio stando alla sua premessa, carente; presumo per mancanza di tempo.
        Certo che occorre, primariamente e basicamente, dare una definizione dell’oggetto della discussione, nel nostro caso “anima”. Non mi pare lei ne abbia proposto una. Ha detto cose sensate e, per così dire “tradizionali” su ciò che l’anima non può essere, ma non ne ha avanzato una definizione.
        So di passarle una patata bollentissima, infatti, quasi mai si è dato un concetto (sempre che ve ne possa darsi uno) più elusivo di questo. Certo, rimarrei poco soddisfatto se come soluzione mi proponesse quella aristotelica, di “anima come forma del corpo”.
        Grazie.

      • FRANCESCOM on

        Buon giorno,
        quello che scrive è interessante, ossia fondato e condivisibile (da chi commenta).
        Mi son trovato coinvolto quando, come condizione preliminare al discutere, ha richiamato l’attenzione sulle necessità, basica e fondamentale, di dare una definizione sensata, chiara, rigorosa, e soprattutto vera, dell’oggetto del dibattere. Nel nostro caso, “anima”.
        Molto serrate le inferenze da lei addotte circa la pars destruens; ossia sull’impossibilità che l’anima (qualsiasi cosa sia) possa ricadere nella definizione moderna, che poi è quella cartesiana, e di coloro che, dalla sventura teosofista in poi, fantasticano di reincarnazione.
        Molto carente (probabilmente per ragioni di spazio) ho trovato lo svolgimento della sua premessa, ed anzi, proprio assente. Mi sarei aspettato, visto che a proporla è stata lei medesimo, una definizione di anima, che non fosse tautologica e/o inconsistente (come lo sono la maggior parte).
        So di passarle una patate bollentissima, ma è stato lei a proporla; infatti; “anima” è una di quei concetti (sempre che se ne possa darsi uno) più elusivi dell’intero spettro semantico.
        Certo, rimarrei un po’ deluso se mi proponesse la definizione aristotelica, “anima come forma del corpo”.

  5. Trovando molto stimolanti sia l’articolo che i commenti, trovo intuitivamente corrette le due posizioni e manchevoli soltanto del trait d’union : il significato di ‘vite successive’ alla luce della Teoria degli stati molteplici dell’Essere,secondo la quale la successione delle vite,fraintesa come vite nel medesimo stato,fino all’esaurimento del Karma, va letta invece come successive ‘incarnazioni’ su piani successivi dell’ indefinita manifestazione. Quindi si, si può parlare di trasmigrazione -seppur ‘apparente’,in quanto l’Atman in realtà coincide con il Brahman come un raggio di sole è emanazione del sole stesso- attraverso però varii piani dell’essere. In ciò, il testo del Maestro, Il simbolismo della croce’ può suggerire un cenno di ‘soluzione’ alla questione. A tutti,la mia gratitudine e la richiesta di aggiungere Conoscenza, tramite correzioni e spunti,alla mia Ricerca.

    • Era precisamente questa l’idea che ho cercato di rappresentare nel mio primo commento. Dimostrare però l’impossibilità di un ritorno nel medesimo stato di esistenza, non è cosa che mi senta di fare in questa sede (la dimostrazione, del resto si trova dettagliata ne “L’errore dello spiritismo”. Il mio scopo, è stato piuttosto quello di suggerire alcuni aspetti della percezione di se stessi e del mondo, che possono rendere assai difficile agli uomini moderni la comprensione di quella dimostrazione.

  6. FRANCESCOM on

    @ANONIMO
    Buon giorno,
    quello che scrive è interessante, ossia fondato e condivisibile (da chi commenta).
    Mi son trovato coinvolto quando, come condizione preliminare al discutere, ha richiamato l’attenzione sulle necessità, basica e fondamentale, di dare una definizione sensata, chiara, rigorosa, e soprattutto vera, dell’oggetto del dibattere. Nel nostro caso, “anima”.
    Molto serrate le inferenze da lei addotte circa la pars destruens; ossia sull’impossibilità che l’anima (qualsiasi cosa sia) possa ricadere nella definizione moderna, che poi è quella cartesiana, e di coloro che, dalla sventura teosofista in poi, fantasticano di reincarnazione.
    Molto carente (probabilmente per ragioni di spazio) ho trovato lo svolgimento della sua premessa, ed anzi, proprio assente. Mi sarei aspettato, visto che a proporla è stata lei medesimo, una definizione di anima, che non fosse tautologica e/o inconsistente (come lo sono la maggior parte).
    So di passarle una patate bollentissima, ma è stato lei a proporla; infatti; “anima” è una di quei concetti (sempre che se ne possa darsi uno) più elusivi dell’intero spettro semantico.
    Certo, rimarrei un po’ deluso se mi proponesse la definizione aristotelica, “anima come forma del corpo”.

  7. Come ho spiegato nella seconda risposta al commento di Livio, ho deliberatamente omesso di dare una definizione. La ragione non sta in una mia particolare reticenza, ma nella consapevolezza che lo strumento di espressione (in questo caso, Internet) non è affatto un mezzo neutro rispetto a ciò che si vuole dire. Inoltre, in riferimento a certi argomenti, non è sufficiente averne una certa comprensione per potere parlarne, ma è necessario ancora qualcosa di più che riguarda la specifica competenza ad esprimerli all’esterno, competenza che purtroppo, nella fattispecie, mi difetta. In ogni caso, poiché la richiesta di chiarimenti mi sembra ragionevole, cercherò di dire qualcosa di più, facendo attenzione a non travalicare certi limiti che mi devo imporre.
    Concordo con quanto dice Francescom sul carattere non soddisfacente della definizione che si imputa ad Aristotele. Si imputa, dico, perché si tratta di una grossolana e scorretta interpretazione di ciò che veramente dice. Ne “La Grande Triade”, R. Guénon definisce l’Anima come principio mediatore fra Spirito e Corpo e come potenza “formatrice” o “demiurgica”. Per comprendere questo, occorre partire da un’idea di Spirito come “realtà ontologica” delle cose, o anche come “primo motore non agente” della realtà ontologica ed esistenziale (si tratta di due aspetti differenti) delle cose. Ora, la potenza (è proprio il caso di dirlo, perché, rispetto allo Spirito, essa presenta un aspetto passivo e potenziale) attraverso la quale il peso ontologico della Realtà spirituale si esercita sulla sostanza pura, realizzando il Corpo, è, per l’appunto l’Anima. Si può esprimere questo, ad es. rappresentando lo Spirito come la luce diretta, l’Anima come la luce riflessa ed il Corpo come l’immagine che si forma. Soccorre, in proposito anche l’etimologia dove lo Spirito (Spiritus) deriva da una radice che significa “soffiare” che rappresenta l’origine dell’energia che si esprime nel soffio, mentre l’Anima, dalla stessa radice che dà ànemos, vento, esprime più direttamente l’aria in movimento. In questo modo, si può anche comprendere il vero senso da attribuire alla concezione aristotelica, dove “forma”, non sta ad indicare la forma corporea in senso letterale, ma il carattere individuale stesso del corpo, il cui profilo lo separa illusoriamente dal resto dell’ambiente, ma, nello stesso tempo, lo mette a contatto ed in comunicazione con esso. Allora “potenza formatrice” potrebbe tradursi come “potenza individualizzatrice” la cui prima manifestazione per gli indù è appunto ahamkara (letteralmente, la “causa dell’io” o della “istanza produttrice dell’individuo”).

    • Certo che si potrebbero esprimere certi concetti in modo più semplice che possano essere compresi anche da chi non mastica certi concetti .credo che non solo sia possibile ma doveroso farlo.

  8. Il problema è che non si tratta di semplici concetti nel senso oggi abituale, cioè di costruzioni mentali astratte, che partono da concetti più semplici, combinati assieme o successivamente complicati in qualche modo. La ragione della mia apparente reticenza stava tutta lì. Ma per chi voglia approfondire, il punto di partenza si può ritrovare nel mio primo commento che credo sia facilmente comprensibile a tutti. Posso ancora aggiungere che la percezione dell’uomo moderno si basa tutta su astrazioni, percepisce il mondo e se stesso in base ad astrazioni effettuate dalla realtà, astrazioni che scambia, senza più accorgersene, per la realtà stessa. Fino a che non si inizia a percepire la realtà in maniera differente, non si potrà mai comprendere. Per iniziare, è forse sufficiente capire che corpo ed anima sono strettamente intrecciati e non si può comprendere l’uno senza l’altra e viceversa. Per questo, non è esatto dire che abbiamo un corpo, noi siamo quel corpo, anche se certamente siamo simultaneamente anche molto altro. Capire questo è già un buon inizio per comprendere. Di più, per limiti certamente miei, non sono in grado di spiegare.

    • Eh, però, se proprio vogliamo discuterne… occorrerebbe approfondire che cosa sarebbe un corpo che avesse molte vite in contesti storici ed antropologici anche molto differenti (interpreto correttamente il Suo pensiero? oppure dobbiamo porre ulteriori limitazioni alla reincarnazione di questo “corpo” nei “vestiti”?). Non sarebbe un’entità completamente astratta, incapace di costituire un’unità individuale effettiva e concreta? E non sarebbe allora, questo “corpo” una versione rispolverata della res cogitans di Cartesio, un po’ “modernizzata”?

  9. Per me non è così complicata la faccenda quando parlo di corpo mi riferisco a una parte costitutiva dell’uomo insieme all’anima e allo spirito ,ma ripeto se non ci capiamo sulla differenza tra corpo e vestiti o vesti di pelli come ne parla la genesi,non può esserci un dialogo .Per me il discorso è chiaro

    • Credo però che, se vogliamo davvero intvolare una discussione, che non serva soltanto, come avviene di solito, specie su Internet, a sostenere una posizione precostituita, ma a comprendere più a fondo i propri e gli altrui pensieri, non è sufficiente fermarci a ciò che appare chiaro ad ognuno (in genere, del resto, ciò di cui qualcuno è convinto, gli appare chiaro proprio per questo), ma dobbiamo esplorare le conseguenze e le implicazioni di quello che abbiamo pensato.
      Ho fatto un’osservazione precisa, che non riguarda la distinzione di cui Lei parla, ma la possibilità che un medesimo individuo possa attraversare molte vite corporee, comunque Lei voglia concepirle. Se vogliamo seriamente rispondere al dilemma da cui è nata la discussione, dobbiamo concentrarci sul corpo individuale comunemente inteso, perché è di quest’ultimo che qualcuno sostiene la ripetibilità per uno stesso individuo attraverso la pretesa “rinascita umana” o “reincarnazione”. Se non è questa la Sua idea, allora, non dobbiamo più discuterne. Diversamente, insisto sul fatto che non è tanto importante, in questa sede, capire chi ha ragione, quanto capire che cosa significa ammettere o non ammettere questa ripetibilità. Sottolineo che non ho nessuna intenzione di convincerLa o di provarLe alcunché, nè nessun interesse a farlo. Lei ha manifestato successivamente la volontà di comprendere di più ed è per questo che ho ritenuto giusto risponderLe, entrambe le volte. Se però, al contrario, si ritiene interamente soddisfatto della Sua attuale concezione, per me va benissimo e non vedo il motivo di continuare la discussione.

  10. Sinceramente non ho capito la Sua posizione, come forse Lei non ha capito la mia,parla di corpo comunemente inteso quindi si riferisce a quello che io chiamo vestito ,certo che non si può parlare di altre esistenze con lo stesso vestito (corpo) questo mi sembra talmente evidente che non vale la pena parlarne.Come farebbe uno a rimettere un vestito che non esiste più? Ma da questo a pensare che non ci siano più esistenze è un’altra cosa.

    • In realtà, il mio punto di vista è diverso. Cerco di spiegarmi meglio:

      Il reincarnazionista immagina che vi sia un’anima che ad un certo punto “atterra” su un piano corporeo e inizia ad animare un corpo che cresce, si sviluppa, conduce una certa vita e muore. Dopo di che, il reincarnazionista immagina che questa stessa anima, che intende sostanzialmente come il medesimo individuo, perda, per così dire, la memoria, ma ritorni ad animare un nuovo corpo, e così via. Ora, ciò che io ho osservato è che questa idea presuppone che l’individuo possa rimanere sè stesso, cioè lo stesso individuo, al di là di cambiamenti evolutivi più o meno importanti, cambiando però corpo (o, se Lei preferisce, vestito). Questa idea, presuppone, a sua volta, che il corpo transitorio (o, secondo la Sua terminologia, vestito) non sia parte integrante, costitutiva ed essenziale dell’individualità, ma solo una componente, importante quanto si vuole, ma comunque, accidentale, di una condizione transitoria che essa assume.
      Vorrei sapere, prima di continuare, se siamo d’accordo su questo punto, che, cioè, se si assume che uno stesso individuo possa avere molti corpi, questi vengono ridotti a mere accidentalità, forse relativamente importanti, ma comunque non decisive per l’essenza individuale che rimarrebbe sempre la stessa, passando dall’uno all’altro.

  11. Buongiorno però non mi ha detto la sua visione o non l’ho capita, mi parla dell’ipotesi della reincarnazione ma non mi ha dato la sua alternativa all’evoluzione dell’uomo. Per Lei l’uomo ha un’evoluzione? Ha unesistenza unica su questo piano? Per Lei non c’è un’individualita ?

    • Come Le ho detto, sono più interessato a comprendere le implicazioni delle diverse concezioni che a discuterle direttamente.
      Comunque, per rispondere alle Sue domande, nel modo più semplice che posso, mi limito a dire che ammetto ovviamente l’esistenza dell’individualità. E (dal mio punto di vista) altrettanto ovviamente, questa individualità è unica, sia sotto l’aspetto corporeo, che sotto quello animico, altrimenti non si potrebbe nemmeno dire che si tratta di un’individualità, essendo l’unicità psico/corporea l’unico significato intellegibile che si può dare alla parola. Quel che complica un po’ le cose è che per me ogni esistenza è, per il fatto stesso di essere un’esistenza finita, anche illusoria. Ciò vuol dire semplicemente che, in quanto esistenza che si darebbe come autonoma, non è tutto ciò che è ed anche che, in quanto esistenza che si pretende autonoma, non è ciò che veramente è, così come un miraggio di un’albero non è tutto ciò che è, né ciò che veramente è, in quanto albero. Il che, ovviamente, non significa peraltro che non sia nulla, essendo veramente qualcosa in quanto miraggio.
      L’evoluzione, che significa soltanto sviluppo, vi è, ovviamente, ma per l’individualità, essa consiste nella vita terrena e nei suoi prolungamenti postumi e non in successive vite che sarebbero una contraddittoria duplicazione di ciò che è unico.
      Ho esposto, in ordine di difficoltà, queste concezioni (che sono poi quelle che ritrovo in tutte le tradizioni sacre, se correttamente intese), lasciando per il momento da parte la trasmigrazione che richiederebbe di introdurre il concetto di sovraindividuale. Se qualcosa non fosse chiaro, me lo indichi e cercherò di spiegarmi meglio. Resta però per me interessante capire il Suo punto di vista, in particolare sul rapporto fra individualità e corporeità.

      • Rileggendo ciò che ho scritto, mi rendo conto che sono ancora necessarie due precisazioni:

        1) quando scrivo psico/corporeo non intendo “psichico” nel senso di “psicologico” ma di “animico” che è la sua esatta traduzione usando la radice latina;

        2) anche così, è importante sottolineare che la coppia va intesa in senso trasposto, perché esiste una molteplicità di stati di esistenza individuali che soggiacciono a condizioni completamente differenti da quelle delle modalità animica e corporea (come ad es. lo spazio ed il tempo) che caratterizzano questo stato. Questa trasposizione simbolica è perfettamente corretta in sè, ma, per non generare difficoltà, si può anche sostituire l’espressione “psico/corporea” con “in ambito sottile e grossolano” che è forse più esatta e permette di evitare confusioni.
        La frase dibenterebbe, allora: “E (dal mio punto di vista) altrettanto ovviamente, questa individualità è unica, sia sotto l’aspetto corporeo, che sotto quello animico, altrimenti non si potrebbe nemmeno dire che si tratta di un’individualità, essendo l’unicità in ambito sottile e grossolano l’unico significato intellegibile che si può dare alla parola.

  12. Non capisco perché le esistenze dovrebbero essere delle duplicazioni ogni esistenza è unica e irripetibile per me non vedo una contraddizione in questo .Un aspetto che Lei non nomina è lo spirito ,parla dell’anima del corpo ma l’uomo è composto anche da uno spirito o questo nella Sua visione dell’uomo non è contemplato?vedo lo spirito come quella parte immortale dell’uomo, ma purtroppo l’uomo non ne è cosciente e neanche della propria anima ,conosce in modo superficiale anche il corpo fisico.

  13. Lo spirito fa parte già della dimensione sovraindividuale. Preferirei trattarne in un secondo momento, per maggiore ordine di esposizione. Ma per quanto concerne le esistenze, se, come Lei giustamente dice, ogni esistenza è unica, essa corrisponde ad una sola individualità. In altre parole uno stesso individuo non può avere più esistenze. La duplicazione starebbe appunto in questo: un medesimo individuo che si reincarna più volte sarebbe la stessa esistenza che si ripete più volte. E’ possibile, ma me lo deve confermare Lei, che la differenza fra le nostre posizioni stia innanzitutto qui: per me [esistenza in uno stato individuale] = [individuo], mentre forse, per Lei, esistenza ed individuo non coinciderebbero. Oppure capisco male?

  14. Esatto per me esistenza e individuo non coincidono.Se coincidessero come ritiene Lei un individuo morirebbe sempre? Per tornare un individuo diverso la prossima volta ,non ci sarebbe un nucleo permanente? Un individuo diverso ogni volta senza nessun legame con prima.

  15. Qui il discorso si fa molto complesso e non so se riusciremo a condurlo sul blog. In ogni caso, proviamo ad andare per ordine:
    “come ritiene Lei un individuo morirebbe sempre?” A me sembra evidente che un individuo debba morire, e non “sempre”, ma una sola volta per tutte, alla fine del ciclo della sua vita corporea. La sua morte, cioè la sua fine, è connaturata al fatto stesso che si tratta di una cosa finita.
    “Per tornare un individuo diverso la prossima volta ,non ci sarebbe un nucleo permanente?” Perchè questo nucleo dovrebbe essere individuale? Il problema è solo concepire il sovraindividuale che corrisponde in parte a quello che viene chiamato Spirito.
    Ciò che è stato fatto, a partire dal 1600 in poi, è stato voler sostituire l’individuo e l’io al sovraindividuale ed al Se. E’ il Sè sovraindividuale che è il sutratma, il legame che concatena individui innumerevoli attraverso stati di esistenza diversi, di cui quello umano, in cui si colloca anche l’esistenza corporea, è soltanto uno in una molteplicità indefinita.
    Considerare l’individuo come una permanenza in vite ed esistenze diverse, significa inevitabilmente farne un’astrazione, priva di reale contenuto. Solo ciò che sintetizza in se tutte le cose può essere il ponte fra esistenza ed esistenza.

  16. Devo ammettere di fare un gran fatica a seguirla ,quindi l’anima e il corpo (individuo secondo Lei) finirebbero scomparirebbero ?l’unico aspetto permanente è lo Spirito ? E se lo Spirito fosse incorporato nell’anima quindi l’uomo avesse attratto in sé lo spirito? Quindi da aspetto sovraindividuale diventerebbe individuale.

  17. Ciò che è sovraindividuale non può divenire individuale, così come un uomo non può divenire la sua immagine riflessa: essendo al di là dei cambiamenti e del divenire proprio delle cose individuali, non ne può in alcun modo essere toccato. Pensare diversamente, sarebbe come credere che un disegno di un leone sul muro possa animarsi ed uscirne per divorarci.

    Quanto all’anima ed al corpo, non hanno alcun bisogno di scomparire, semplicemente, esistono in un dato ambito spazio/temporale delimitato e non in ambiti spazio/temporali diversi. La ringrazio, fra l’altro, perché sto imparando molto da Lei riguardo al modo in cui viene percepita la realtà in una visione differente dalla mia. Per cercare di farmi comprendere: Lei non si stupisce affatto di non trovarsi, nel mentre è seduto in un dato luogo, simultaneamente, seduto anche a tre metri di distanza di fronte a Lei. Anzi, si stupirebbe e troverebbe incredibile e straordinario il contrario. Semplicemente, sa che l’estensione spaziale del Suo corpo è limitata e che non può occupare due posti diversi simultaneamente. Ed allora, se posso chiedeLe, perché si stupisce del fatto che un medesimo individuo non può esistere in un dato tempo ed inoltre anche in un altro tempo remoto dal suo, nel passato o nel futuro? Non Le sembra che sia la medesima cosa? E così come non si stupisce affatto di non occupare tutto lo spazio disponibile dell’Universo, com’è che si meraviglia così tanto di non potere occupare tutta l’estensione del tempo? La realtà individuale ha un’estensione più o meno grande, ma sempre limitata nello spazio: per quale ragione non dovrebbe averla ben definita anche nel tempo?

    Spero che questi esempi, che riguardano, devo precisarlo, la condizione ordinaria dell’individualità, siano abbastanza chiari del modo di vedere le cose che rappresento. Devo per completezza aggiungere, ma senza scendere per il momento nei dettagli, che, in presenza di un’ influenza spirituale derivante dalla partecipazione ad una tradizione sacra, le cose si complicano un poco. E’ importante però, per il momento, non rendere troppo ardua l’esposizione, rimanendo al caso più semplice.

  18. Secondo me non su può paragonare il corpo e l’anima. Lei fa l’esempio del corpo come se anima e corpo fossero la stessa realtà. Quando di notte dorme il suo corpo è nel letto ma la sua anima non è li può momentaneamente uscire, che tiene in vita il corpo è l’eterico o corpo vitale . l’anima fa parte di un altro piano .Alcuni santi venivano visti in posti diversi nello stesso tempo.parlo per esperienza personale ho fatto l’esperienza di uscire in condizioni di veglia dal corpo e non sto dicendo di essere un santo lungi da me il pensarlo.

  19. Lei ha ragione, nello specifico: la parte sottile non soggiace alle medesime limitazioni del corpo riguardo allo spazio. Ma riguardo al tempo? E’ ancora interamente così? In ogni caso, il mio esempio voleva essere molto più generale: il punto è che, anche se in maniera diversa, i limiti di ciò che è limitato (appunto) devono esistere, in un modo o nell’altro. Sotto questo aspetto, non c’è nessuna differenza fra l’anima ed il corpo, né rispetto a qualunque altra realtà individuale si voglia concepire, anche in condizioni molto differenti.
    Per quanto riguarda i santi, poi, la bilocazione, riguarda normalmente anche il corpo, ma lì il punto è che ci si trova di fronte a qualcosa che per l’appunto supera l’individualità, anche se ne può avere l’apparenza per chi si trovi ancora soggetto alle condizioni limitative che la caratterizzano.
    Ciò che io vedo in genere negli uomini di oggi è una tendenza ad immaginare l’anima, quando la concepiscono, al di fuori da qualsiasi realtà effettiva. Di conseguenza, la credono priva di qualsiasi limitazione. A me sembra, però, che questo non corrisponda ad un’esperienza o ad una conoscenza che essi hanno di essa, ma all’opposto, al fatto che non avendone conoscenza alcuna, pensano di potergli attribuire qualsiasi caratteristica venga loro in mente.

    Infine, non vorrei quasi parlarne perché l’argomento è fuori dalla nostra discussione e non vorrei distrarre l’attenzione con una questione ancora più complicata, ma sono quasi costretto a farLe notare che, secondo il mio modo di vedere, che è poi quello che trova in tutte le tradizioni, ma è particolarmente ben espresso nelle Upanishad, quando qualcuno dorme e sogna, non è l’anima a non essere presente nel luogo in cui tutti gli altri vedono il dormiente, ma il corpo! Mi rendo conto che questo può confondere un po’ le idee, ma può servire almeno per rendere palese che al mondo vi sono modi di vedere le cose anche estremamente differenti da quello diffuso qui.

  20. Non è detto che quelle visioni siano più reali di altre ,di quale corpo si parla che si sposta nel sonno,di certo non di quello fisico ,di quello astrale? Quindi l’anima rimarrebbe nel corpo durante il sonno ?Nel post precedente Lei si riferiva a una tradizione sacra ,posso chiederle quale?

  21. Come ho già sottolineato molte volte, non voglio qui discutere quale sia la visione corretta. Sarebbe una pretesa spropositata per i mezzi che abbiamo a disposizione. Mi accontenterei di chiarire meglio le diverse visioni, a beneficio di una maggiore comprensione dei propri e degli altrui concetti. Ora, il punto su cui mi sembra ancora utile insistere è questo: la visione “reincarnazionista” postula un’entità individuale, chiamiamola “anima”, che attraversa una molteplicità di vite. Quello che a me sembra difficile da contestare è che questa “anima” non potrà, in simili condizioni, che avere caratteristiche stabili molto superficiali ed accidentali, rimanendo nella sua essenza un’ente totalmente astratto, privo di una vera identità. Questo deriva dal fatto che, per me, ciò che dà concretezza e contenuto reale all’individualità è proprio l’unicità della sua vita/esistenza che è anche l’unicità della sua storia e la concretezza della sua situazione antropologica. Insomma, per dirla semplicemente, uno che sia, ora un cinese dell’epoca Tang, ora un antico egizio, ora un uomo del XXI sec. a me sembra che alla fine non sia veramente proprio nessuno, ma una specie di manichino con molte maschere.
    Sono convinto che si possa anche solo credere possibile una cosa simile, per se stessi o per altri, soltanto se si verifica una di queste due condizioni:
    1) o si sottovalutano enormemente le profonde differenze, non tanto di convinzioni o di idee, ma di percezione profonda del reale che esistono fra gli uomini concreti, tanto più se appartengono a culture e/o ad epoche differenti:
    2) oppure si sottovaluta l’unicità e la profondità della stessa natura umana che lascia la sua impronta inconfondibile su ogni aspetto, anche minimo, come le caratteristiche più minute del corpo, o apparentemente secondario e pratico, come il modo di sedersi o di camminare.

    In definitiva, al di là di quale sia la teoria giusta o sbagliata, vorrei chiederLe quale tipo di essere umano Lei ha in mente, quando pensa a qualcuno che oggi è un uomo globalizzato con una particolare storia personale ed ieri era (solo per fare un es.) una “donna di neanderthal” ed in un’altra epoca, un criminale scozzese del XV sec. (dico le prime sciocchezze che mi vengono in mente).
    Non pensa Lei che i limiti (si, proprio i limiti dell’estinsione e della morte) siano costitutivi dell’essenza di un individuo, che sia però un vero individuo e non il frutto dell’immaginazione astratta dei moderni?

    Riguardo all’espressione “tradizione sacra” era un’ espressione generica per indicare una qualsiasi tradizione, come il l’Induismo, il Buddhismo, l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islam, ecc.

  22. Quindi se capisco bene secondo Lei l’essenza individuale è limitata a un’esistenza dopodiché con la morte scompare e non rimane nulla. Se ho compreso bene ,da dove deriva questa concezione dell’uomo da quale tradizione? Nelle tradizioni da Lei citate l’uomo non ha un nucleo permanente? Da quello che ne so per esempio nel buddismo tibetano quando certi lama lasciano il corpo danno delle indicazioni per il loro futuro ritorno. Questo come si spiegherebbe secondo la Sua visione ?

  23. Uno dei principali problemi, trattando di tradizioni relative ad ambiti culturali ed antropologici molto differenti, è essere sicuri che il punto di vista da cui si sta parlando ed il significato di alcuni concetti chiave, siano i medesimi di quelli che noi usiamo istintivamente come equivalenti nella nostra lingua.
    Nel buddismo, ad es., in effetti, si sottolinea l’ “impermanenza” e la “inconsistenza” dell’io, formato dai così detti khandas (in pali, skhandas, in sanscr.) che si separano alla morte. Quando, però, si parla di “inconsistenza” o “impermanenza” (anitya, in sanscrito o anicca, in pali), occorre sapere che la parola è formata da “a” privativo (proprio come in greco e persino in italiano, es.: a-polide, senza polis, senza cittadinanza) e “nitya” che significa “eterno”. Quindi il concetto di anitya è esattamente quello di “non eternità” che ho cercato di delineare nei precedenti commenti riguardo all’individuo. Allo stesso modo, la dottrina dell’anatta (anatman in sanscr.) indica la non presenza del Sè nelle cose finite, cioè la necessità di non confondere l’io con un principio eterno. Tutto questo non esclude, però, la realtà relativa dell’io che è rappresentata da dukkha, il dolore (sarebbe meglio tradurre più in generale come “sofferenza”, in un senso molto vicino a quello etimologico che indica solo il subire o il patire qualcosa, che, solo conseguentemente, diviene, in una certa misura, doloroso) che è qualcosa. a suo modo, di molto reale. E’ dunque esatto dire che nel buddismo non si ha un nucleo permanente dell’uomo, ma solo nel senso in cui “permanenza” indica qualcosa di simile all’ “anima immortale” così come la concepiscono i moderni che hanno semplicemente esteso in modo improprio e “naturalizzato” il senso originariamente connesso alla virtù sacramentale del battesimo dalla dottrina cristiana.
    Nell’induismo, l’individualità è tutto ciò che segue ed è prodotto da ahamkara (lett. la causa, kara, dell’io, aham) e si tratta dunque di una realtà illusoria, certo, ma non di un puro nulla.
    Ma la stessa cosa si potrebbe dimostrare anche ad es. per l’Islam, almeno nella sua spiegazione esoterica, o nella Qabbalah, e persino nel Cristianesimo, così come si trova esposto ad es. nel De diligendo Deo di San Bernardo di Chiaravalle o nelle orazioni di Meister Eckart.
    Riguardo all’esempio da Lei fatto nella tradizione tibetana, si tratta invece di metempsicosi.
    Questa non va confusa con la reincarnazione.
    Possiamo spiegarla rifacendoci a quello che abbiamo detto all’inizio per il buddismo: quando l’aggregato dei khandas si dissolve, questi passano naturalmente nell’ambiente sottile e corporeo. Alcuni elementi psichici, più o meno consistenti possono trasferirsi anche in altri esseri umani viventi. Non si tratta affatto di “anima” ma solo di composti psichici o sottili (che non significa “corporei, ma più raffinati”, ma animici). In alcuni casi essi, però, possono mantenere una consistenza sufficiente da recare la traccia di caratterialità, predisposizioni, persino ricordi che erano propri dell’individuo a cui erano appartenuti. E’ questa l’origine dei presunti fenomeni spiritici ed anche di quelli che si ascrivono a presunta prova di vite precedenti. Persone che “ricordano” con grande precisione fatti o circostanze riguardanti altre vite passate, possono effettivamente dare l’impressione di essere la reincarnazione di coloro a cui quei ricordi erano appartenuti. In realtà si tratta di una specie di eredità psichica.
    Nel caso di persona che abbia un certo stato spirituale e/o eserciti una certa funzione sacra, questi “residui” sono molto importanti perché possono essere anche il veicolo di influenze spirituali essenziali per lo svolgimento di certi riti o per l’esercizio di determinate funzioni sacre. E’ questo il caso dei Lama, che lasciano di solito precise indicazioni riguardo alla loro successione, basate sull’individuazione in un nuovo individuo, dell’avvenuta trasmissione di questi elementi che saranno per lui il presupposto per l’investitura in un’analoga funzione. Il caso delle reliquie cristiane non è molto diverso ed è questo il motivo per cui, quando i cristiani comprendevano un po’ di più la loro tradizione, esse erano molto importanti per la costruzione di una nuova chiesa.
    Non è esatto dire che dell’individuo. dopo la morte, non resta più nulla. Non solo per tutto quello che ho descritto fin qui. In realtà, rimane sempre una sorta di traccia o “ombra” che si affievolisce sempre di più indefinitamente, senza mai esaurirsi del tutto. Lo stato in cui si ritrova questa “traccia” è quello che i cristiani chiamavano “limbo”. E’ chiaro che questa “traccia” non è affatto l’individuo stesso, ma una sorta di suo corrispettivo nel nucleo centrale dello stato di esistenza in cui si colloca.
    Infine, come ho già accennato questo succede all’individuo in quanto tale. E’ però possibile, attraverso una partecipazione al centro sovraindividuale che presiede allo stato umano, assicurato attraverso i riti di partecipazione presenti nelle diverse tradizioni, che l’essenza individuale si conservi fino alla fine del ciclo, nella sua parte sottile. E’ quello che i cristiani chiamano Salvezza, il cui stesso significato, implica un senso originario di “conservazione”. Nel buddismo mahayana, si tratta del buddhakshetra (il campo dei buddha) (in cinese: jing tu, terra pura, giapp. jodo), che, nel suo senso più exoterico, corrisponde. al Pairi-deaeza, cioè al Paradiso cristiano e al Pardes talmudico, nonché al Jannah islamico identificato anche come “Firdaus” che è ancora la stessa parola.

    • Gianluca Marletta on

      Disamina molto corretta.
      Aggiungo che il “paradiso” della visione ebraico-cristiana-islamica, come le “terre pure” delle tradizioni orientali, rappresentano non tanto la “salvezza” ma l’approdo dell’essere che è stato salvato (il quale, nella maggior parte dei casi, è comunque destinato a “scendere agli inferi” preliminarmente per esaurire certe possibilità inferiori, in quella condizione che è chiamata Purgatorio, Barzakh o – nella prospettiva molto peculiare del Cristianesimo Ortodosso – Stato Aereo).
      Concordo sul fatto che l’idea di “un’anima immortale” presente in Occidente è una trasposizione indebita delle possibilità dell’individuo “salvato” che, per qualche ragione, vengono attribuite a tutti indiscriminatamente. Cosa che non é.

      • Mi capita di arrivare un po’ in ritardo su alcuni commenti, in quanto non sempre riesco a vederli nella locandina della pagina iniziale, prima che vengano soppiantati da altri: me ne scuso. Ritengo, però, ancora utile, sia pure in ritardo, aggiungere qualcosa su quanto precisato qui sopra. In effetti, l’idea, che, in analogia, a quanto avviene per l’iniziazione ed nel conseguente percorso di realizzazione, anche nella salvazione exoterica, vi sia, in qualche modo, un “passaggio agli inferi”, nonostante le enormi differenze esistenti fra questi due processi, e a differenza di ciò che si potrebbe pensare a prima vista, è corretta.
        Per comprenderlo, basta ricordare che il termine ultimo della salvezza è, comunque, la “realizzazione passiva” che ha luogo con il “Pralaya” (riassorbimento), alla fine del ciclo: è evidente, dunque, che, anche in questa situazione, le possibilità negative espresse dalle modalità infernali devono essere effettivamente asaurite, in perfetta analogia a quanto avviene nel caso del cammino iniziatico.
        Occorre, tuttavia, tenere bene presente le differenze che esistono nei due casi: nel caso della salvezza, la discesa è effettuata solo “virtualmente” e, per così dire, per partecipazione, prima di raggiungere, oltre il Purgatorio, una condizione partecipante del Centro dello stato umano, rappresentato simbolicamente dal Paradiso terrestre, alla sommità della Montagna e, attraverso di questo, la condizione paradisiaca celeste, in cui si riflettono, direttamente, gli stati superiori sovraindividuali e celesti. E’ questa la condizione “contemplante” delle anime del Paradiso. Non è un fatto accidentale che questa discesa sia stata effettuata, secondo la tradizione cristiana, proprio da Cristo, a seguito della sua Morte redentrice: è attraverso la partecipazione a questa discesa che le anime salvate, possono accedere alle condizioni superiori e ottenere la partecipazione al Centro e la perpetuità nel tempo. Nel caso dell’iniziazione, invece, la discesa è compiuta effettivamente dall’iniziato la cui realizzazione non comporterà più, al suo termine alcun mantenimento di condizioni di manifestazione, sia pure in stati sovraindividuali e dunque non prevede una semplice partecipazione, ma una identificazione completa nel principio, per dirla con San Bernardo, al modo in cui una goccia d’acqua è indistinguibile dal resto del contenuto, una volta che sia versata in un calice pieno di vino. Anche il percorso delle condizioni e modalità intermedie, fra la manifestazione corporea ed il centro, assumono allora un significato completamente diverso, essendovi corrispondenza, ma non identità, con la condizione purgatoriale di alcune delle anime salvate.

        • Gianluca Marletta on

          In ultima analisi – ma vedendo la questione nell’ottima certamente più metafisica degli Orientali – la Liberazione o Realizzazione rappresenta la trascendenza rispetto a qualsiasi “loka” (e chi ha trasceso tutto é, in realtà, signore di tutto e possiede tutto “in sovrappiù”) e all’estinzione di qualsivoglia Trasmigrazione. Nella prospettiva dei Monoteismi – che sono destinati, ricordiamocelo, agli uomini della “fine del ciclo” – è già un grandissimo risultato giungere alla perfezione dello Stato Umano (l’Eden) che, essendo uno stato centrale, ha esaurito tutte le possibilità inferiori (e per questo, si può parlare in senso lato di “vita eterna” e persino di “virtuale realizzazione”) e apre agli Stati Superiori. Nell’essere che è giunto nel Paradiso, la trasmigrazione non è annullata, ma è privata di quel senso “centrifugo” che è proprio letteralmente della “perdizione” e si risolve, invece, in una trasmigrazione verso l’Alto (é questo il senso dell’Ascensione nel simbolismo cristiano o anche islamico). Da qui la promessa evangelica del “sarete come Angeli”: alla fine dello stesso Ciclo Paradisiaco, i salvati saranno quindi elevati agli stati sopraformali che nei Monoteismi sono rappresentati dalle potenze angeliche.

  24. Lei parla di tante cose ma per me l’aspetto centrale è quello della possibilità che l’anima si spiritualizzi unendosi al suo spirito .In questo modo l’anima diventa immortale come immortale è lo spirito Questo è quello che io capisco da quello che ha portato il Signore e Maestro Gesù il Cristo. Matrimonio mistico. Non sono più interessato alle visioni orientali che un tempo mi affascinavano ,credo che da circa 2000 anni ,dal momento del Sacrificio del Golgota tutto sia cambiato sia per chi lo percepisce ma anche per chi non.lo percepisce,una frase di Rudolf Steiner .Nel pensiero che pensa sé stesso trova tu l’Io che si autosostiene.l’Io di cui parla non è certamente l’io impermanente a cui si riferisce il buddismo.

  25. Mi scuso dell’excursus , un po’ lungo, ma l’ho fatto soltanto per fare capire che, almeno in una certa interpretazione, le dottrine orientali, come Lei le chiama, hanno un contenuto molto diverso da quello che ordinariamente gli si attribuisce. Quanto alla possibilità che l’anima “si spiritualizzi” come Lei dice, quel che si può dire è quello che ho descritto nell’ultima parte del mio commento precedente. In ogni caso qualunque spiritualizzazione non può far essere qualcosa, ciò che non è e non può far si che una realtà finita diventi eterna. Perciò anche in quel caso, che travalica già senza dubbio di molto le possibilità individuali “naturali”, l’anima non diviene eterna, ma solo “perpetua”, rispetto al ciclo di esistenza. Credo di comprendere bene il modo in cui Lei la intende, che è anche sicuramente quello in cui la intendeva Steiner ed anche, probabilmente quuello in cui la intendono gli uomini di oggi che dicono di credere nella c.d. “vita dopo la morte”. Mi sembra anche di capire che la Sua interpretazione del cristianesimo, che si discosta da quella delle principali Chiese cristiane che non credono nella reincarnazione, sia vicina a quella antroposofica dello stesso Steiner. Le chiedo, in ogni caso, se non ritiene che si tratti di una visione eccessivamente “individuocentrica”.

  26. Quello che ha portato Gesù Cristo è proprio la possibilità di essere degli individui cosa che prima era presente solo in rari casi ,gli uomini si vedevano solo come facenti parte di un clan /famiglia ,era più un’anima di gruppo come negli animali .Essere degli individui non significa individualisti anzi è l’opposto. Lei parla di riti ,Gesù Cristo non ha portato riti , delle Sue Parole gli uomini ne hanno fatto quello che hanno voluto. Non parlo di possibilità individuali “naturali” ma in virtù del sacrificio del Golgota. L’uomo era degenerato talmente che aveva sprecato tutto e se la Grazia Divina non fosse intervenuta per l’uomo non ci sarebbe stata nessuna possibilità di Salvezza.Credo che la parabola del figliol prodigo descriva bene la situazione.

  27. Sulla Sua visione, non ho ovviamente nulla da aggiungere: essendo la Sua convinzione sincera, è giusto che la segua. Sul piano puramente storico avrei invece diverse obiezioni, in particolare, quando tende a ricostruire la visione delle antiche civiltà (alcune delle quali del resto ancora in vita attualmente, seppure sempre più minacciate dalla “globalizzazione”) come una sorta di percezione subindividuale, simile a quella animale,, laddove, invece, si tratta di qualcosa di molto diverso. Quello di una sorta di sviluppo che va da un preteso “stato selvaggio”, allo stato “superiore” che, guarda caso, sarebbe proprio quello della c.d. civiltà moderna, è un’idea che, fortunatamente, gli stessi antropologi moderni hanno abbandonato, già a partire dalla prima metà del secolo scorso. Essa sopravvive in alcune teorizzazioni storiche (poco avvertite di antropologia oppure caratterizzate molto ideologicamente). Questa visione, fortemente etnocentrica, si è, in un preciso momento storico che sarebbe possibile determinare con precisione, “alleata” con l’esclusivismo religioso, estremamente sviluppato nei cristiani (soprattutto, ma non solamente, occidentali). In realtà, ci sarebbero molti testi evangelici che si potrebbero portare formalmente, contro questa interpretazione, ma, quello che conta qui è che, quella “individuocentrica”, non è sicuramente almeno l’unica interpretazione storicamente rintracciabile. Anzi, fino ad un’epoca relativamente recente, di essa non vi è traccia.
    In definitiva, se l’individuo così come concepito oggi, neanche esiste nelle culture diverse dalla nostra, non è per un preteso assorbimento nel clan, ma per la percezione diversa di se stessi e del Mondo che era comune un tempo ed adesso non lo è più.

  28. Bene quello di cui mi rendo conto è che stiamo parlando lingue diverse e se questo è vero non è possibile capirsi ,non ho mai detto che l’uomo è partito da uno stato animale per andare verso uno stato superiore anzi l’uomo è partito dall’alto e poi è degenerato ,non credo che l’uomo venga dalla scimmia.Certo che gli antichi e ancora qualche popolazione hanno una percezione diversa del mondo e di sé stessi ma questo significa che quella percezione sia più vera ? È la loro percezione per il loro grado evolutivo.Quello che penso in sostanza è che sia difficile incontrarsi partendo da concetti non comuni ,mi ricorda la torre di Babele e le lingue diverse .credo che l’uomo sia chiamato a tornare da dove è partito con una coscienza di sé stesso diversa .

  29. Ovviamente comprendersi è difficile e tanto più lo è con i mezzi limitati di un contatto telematico.

    In ogni caso, la mia osservazione riguardo al rapporto con gli animali era legata al riferimento da Lei fatto ad “un’anima di gruppo come negli animali”. Non mi preoccupo, a maggior ragione, di stabilire qui quale percezione “sia la più vera”, ammesso che questa questione possa avere una soluzione. Ma prima di porsi una tale domanda, non sarebbe più interessante provare a comprenderla quella diversa visione, una volta che ci si sia resi conto che esiste?

    Che poi si parli lingue diverse, lo davo per scontato fin dall’inizio e mi sembra anche normale. Ma il punto è che sono convinto da un bel po’ che ascoltare i suoni di una lingua differente, sia il miglor modo per prendere maggiore consapevolezza della propria.

    • Demetrio Falero on

      Gentile Anonimo
      Ho recentemente avuto occasione di leggere i suoi importanti interventi a commento e integrazione degli studi apparsi in questo pregevole sito. Mi sono apparsi estremamente interessanti non solo per la conoscenza e competenza commendevoli che denotano, (oltretutto lasciando agevolmente avvertire una riflessione profonda sulla scorta dell’Autore francese), bensì anche perché in essi il distacco e la pacatezza della disamina confermano la natura puramente intellettuale della certezza dalla quale infine scaturiscono i suoi ragionamenti e le argomentazioni. Orbene: col suo permesso, vorrei sottoporle alcune problematiche di tipo dottrinale circa le quali sarei onorato di discutere con lei. Si tratterebbe di un confronto, tuttavia non in modalità paritetica, (stante la ristrettezza delle risorse di cui dispongo), e nella aspettativa di ricevere una vāda bhikṣā, per avvalermi di una espressione tradizionale che certo le è nota. Tuttavia, concernendo questioni che esulano, almeno parte, dalle tematiche affrontate in questa sede, mi parrebbe più idonea una comunicazione riservata. Se mi conferma una sua generica disponibilità, troveremo agevolmente modo di conferire. In caso contrario, ringraziandola comunque, mi pregerò di continuare a leggere i contributi che confido ella vorrà magari ancora graziosamente inviare. Mi sono premurato di trasmettere al sito stesso un mio email account. Esprimo nell’occasione, stima e riconoscenza verso il Curatore del sito di cui seguo da tempo gli ammirevoli studi.

    • Gentile Anonimo
      Ho avuto occasione di leggere i suoi interventi a commento e integrazione di studi apparsi in questo sito. Essi appaiono estremamente interessanti non solo per la conoscenza e competenza commendevoli che denotano, (oltretutto lasciando agevolmente avvertire una riflessione profonda sulla scorta dell’Autore francese), bensì anche perché in essi il distacco e la pacatezza della disamina confermano la natura puramente intellettuale della certezza dalla quale infine scaturiscono i suoi ragionamenti e le argomentazioni. Orbene: vorrei sottoporle alcune problematiche di tipo dottrinale. Si tratterebbe di un confronto, e tuttavia non in modalità paritetiche, (stante la ristrettezza delle risorse di cui dispongo), bensì nella aspettativa di ricevere una vāda bhikṣā. Tuttavia, concernendo questioni che esulano, almeno in parte, dalle tematiche affrontate in questa sede, mi parrebbe più idonea una comunicazione riservata. Se mi conferma una sua generica disponibilità, troveremo agevolmente modo di conferire. In caso contrario, ringraziandola comunque, continuarò a leggere i contributi che confido ella vorrà magari ancora inviare. Esprimo nell’occasione, stima e riconoscenza verso il Curatore del sito di cui seguo da tempo gli ammirevoli studi.

        • Gentile Demetrio Falero, ho trasmesso la mia mail al prof. Marletta perché possa trasmetterGliela. Sono ben disponibile, nei limiti delle mie possibilità, a rispondere ai Suoi quesiti. Temo tuttavia che le condizioni della comunicazione, che è più soggetta a limiti di quanto si creda, non consentiranno di condurla agevolmente, Devo per il momento almeno mantenere l’anonimato e per delle ragioni che non vorrei spiegare qui, mi è anche difficile comunicare attraverso internet.

          • Demetrio Falero on

            Gentile Anonimo,
            dal momento che ad oggi ancora non mi è pervenuta alcuna comunicazione relativa al suo email account, per abbreviare i tempi ed evitare incomodi, le trascrivo qui di seguito la mia email:

            demetriofalero6480@gmail.com

            Voglia essere così cortese, per favore, da prendere lei direttamente contatto con me, dato il fatto che io al presente sono impossibilitato a farlo, non avendo la sua email. Colgo anche l’occasione per ringraziare ancora il Professor Marletta per aver dato adito, col suo pregevole blog, a questa interessante opportunità.
            Ringraziandola anticipatamente, voglia gradire i miei più rispettosi saluti
            demetriofalero6480@gmail.com

          • Demetrio Falero on

            Gentile Anonimo,
            dal momento che ad oggi ancora non mi è pervenuta alcuna comunicazione relativa al suo email account, per abbreviare i tempi ed evitare incomodi, le trascrivo qui di seguito la mia email:
            demetriofalero6480@gmail.com
            Voglia essere così cortese, per favore, da prendere lei direttamente contatto con me, dato il fatto che io al presente sono impossibilitato a farlo, non avendo la sua email. Colgo anche l’occasione per ringraziare ancora il Professor Marletta per aver dato adito, col suo pregevole blog, a questa interessante opportunità.
            Ringraziandola anticipatamente, voglia gradire i miei più rispettosi saluti
            demetriofalero6480@gmail.com

  30. Io non davo per scontato nulla tanto meno che parlassimo lingue diverse fin dall’inizio .Ma che altro possiamo dirci per comprendere la visione dell’altro, io accetto che Lei abbia la sua visione che io non condivido, sempre che veramente l’abbia compresa fino in fondo ,cosa di cui non sono sicuro.Sono d’accordo sul sentire una lingua diversa possa aiutare a capire meglio la propria .Io cerco sempre la verità non ho la presunzione di detenerla .la cerco anche in quello che gli altri manifestano.

  31. L’individualità umana è una possibilità di manifestazione dell’essere. È una possibilità importantissima, perché solo da uno stato centrale (Come quello umano) è possibile ascendere. Ma non si può “rinascere” ripetutamente nello stesso stato come pretendono i reincarnazionisti. L’essere che non giunge alla salvezza “in questo” stato umano sarà “condannato” a rimanifestarsi in altri stati, ma non più umani.
    È possibile che ci si rimanifesti in altri stati “centrali” in altri “mondi”, questo è vero, ma si tratta di possibilità molto remote, ed è questo che la Parabola vuole spiegare.

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