Messianismo ebraico e storia moderna

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Come si é evoluto il messianismo ebraico dopo la nascita del Cristianesimo e la distruzione del Tempio? Il presente intervento (tratto dal nostro libro: Apocalissi. La fine dei tempi nelle religioni, Ed. SugarCo, pp. 39-47 ) ne riscostruisce alcune tappe: dallo “scisma” di Shabbatai Zevi del 1666, alla nascita di forme di messianismo “laico come il marxismo e il sionismo, fino all’identificazione del Messia stesso con la “collettività del popolo ebraico”. Un contributo per comprendere meglio la modernità (e anche la più recente attualità).

 

 

 

 

“Lo spartiacque della storia ebraica –e, quindi, anche delle idee messianiche e apocalittiche- è il periodo a cavallo tra il I sec. a.C. e il I d.C.: un’epoca di avvenimenti e sconvolgimenti che avranno conseguenze infinite sul destino di Israele e di tutto il mondo antico. Attorno a quest’epoca, infatti, l’attesa messianica é particolarmente forte e il popolo d’Israele, nel suo complesso, é generalmente convinto che proprio questa sia l’era destinata ad accogliere l’atteso Messia. Di questa attesa sono testimonianza fonti antiche sia ebraiche che latine[1], che ci rivelano come, al fondo di questo sussulto di speranza, ci sia stata l’interpretazione di alcune profezie bibliche[2]. Quest’attesa, d’altronde, non è presente solo presso Israele ma diviene una caratteristica comune della cultura mediterranea a cavallo dell’era volgare[3].

Gli avvenimenti che coincisero con questo periodo di fervore sono noti. Da una parte, infatti, si assiste alla nascita, nel seno stesso dell’Ebraismo, di un messianismo –quello incentrato sulla figura di Gesù di Nazareth- rifiutato dalle autorità giudaiche ma destinato alla lunga ad affascinare e conquistare i popoli non Ebrei; dall’altro, nel 70 d.C., in seguito alla rivolta degli estremisti Zeloti, si assiste alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, con la conseguente dispersione degli Ebrei in tutto il mondo allora conosciuto –l’Esilio. La delusione per le mancate attese messianiche e la distruzione di Gerusalemme e delle strutture della società giudaica, portano così ad una vera e propria “rielaborazione” della fede e delle attese che porterà alla nascita dell’Ebraismo odierno.

La delusione per il mancato avvento messianico viene elaborata, innanzitutto, come punizione per i peccati e le incredulità di Israele. Così Rav, un saggio del III sec., può affermare che «tutte le date (calcolate per la venuta del Messia) sono già trascorse. L’evento non dipende più che dal pentimento e dalle buone azioni»[4].

Al tempo stesso, la condizione di dispersione del popolo ebraico, lontano dalla sua patria, porta all’elaborazione di una vera e propria “teologia dell’esilio”, dove sempre più forti si fanno le aspirazioni e le attese di redenzione anche in termini apocalittici. La condizione di Esilio degli Ebrei viene letta, da questo punto di vista, come una metafora dell’Esilio dell’umanità lontana da Dio: un Esilio che solo la venuta del Messia e l’avvento del nuovo mondo potranno spezzare. Al tempo stesso, le sofferenze degli Ebrei in esilio vengono lette alla luce delle “tribolazioni dei tempi ultimi”: esse sono le “doglie del Messia”, gli inevitabili travagli prima della redenzione. Così, lo Zòhar Chadash, afferma che «quando il sole della redenzione brillerà, un guaio seguirà l’altro e l’oscurità sarà sempre più intensa»[5].

Proprio alla luce di questa “teologia dell’Esilio”, in cui è particolarmente accentuata l’idea della lontananza dell’uomo dalla Divinità, la riflessione rabbinica, riprendendo una visione già presente nelle Scritture, insiste molto sulle caratteristiche sinistre e inquietanti che assumeranno i tempi ultimi:

«La faccia della generazione (ultima) sarà come la faccia di un cane»[6], afferma il Talmùd, intendo così che la condizione dell’uomo sarà simile a quella delle bestie; «Prima dell’arrivo del Messia, l’arroganza si moltiplicherà (…). I Saggi saranno umiliati e coloro che temono di sbagliare saranno disprezzati. La verità sarà proscritta, i ragazzi oltraggeranno i vecchi, gli adulti si alzeranno davanti ai più giovani»[7].

Quello che la tradizione rabbinica descrive, dunque, è un vero e proprio “mondo alla rovescia” –gli adulti si alzeranno davanti ai più giovani– dove ogni valore spirituale e umano viene invertito e disprezzato –i Saggi saranno umiliati; ed è alla luce di tale concezione che due maestri rabbinici hanno potuto dire, in riferimento all’epoca precedente alla venuta del Messia, «che egli venga, ma che io possa non vederlo»[8].

Il Messia, in quest’ottica, sarà colui che metterà fine alla situazione di Esilio, instaurando un Regno universale dove avrà stabile dimora la giustizia e dove anche l’esilio materiale degli Ebrei avrà termine: nella riflessione rabbinica, infatti, il Messia sarà anche colui che radunerà le tribù d’Israele nella terra promessa e ricostruirà il Tempio di Gerusalemme.

Sulla questione della ricostruzione del Tempio –che, come vedremo, riveste una certa importanza, anche se di valore del tutto opposto, nell’escatologia cristiana- le fonti sono tuttavia discordanti. Secondo alcuni, infatti, il Tempio verrà ricostruito dagli Ebrei stessi[9] su ordine del Messia; secondo altri –che leggono l’immagine del Tempio in un’ottica più spirituale[10]– il terzo e definitivo Tempio sarà invece un dono di Dio, non eretto da mano umana.

La tradizione ebraica “ortodossa”, tuttavia, pur a fronte della diversità delle interpretazioni, è generalmente concorde su un punto: l’avvento della Redenzione non può essere “accelerata” attraverso “atti di forza” da parte dell’uomo: essa avverrà per opera di Dio nel momento da lui deciso. Per questo motivo, ad esempio, una parte dell’Ebraismo più legato alla tradizione ha condannato la stessa creazione del moderno Stato d’Israele[11], visto come un prepotente tentativo umano di attribuirsi un qualcosa che spetterebbe solo a Dio e al suo Messia –ovvero il ritorno delle tribù d’Israele alla terra promessa.

Questa visione ortodossa del messianismo non è, tuttavia, l’unica ad aver asilo nel multiforme panorama della cultura ebraica. Accanto a questo messianismo tradizionale, incentrato sull’attesa della redenzione da parte di Dio e sulla visione individuale e personale del Messia, ne esistono altri. Secondo una certa interpretazione –molto diffusa nell’Ebraismo contemporaneo- la figura del Messia, ad esempio, sarebbe identificabile con la “collettività” del popolo ebraico, partecipe della redenzione divina nel mondo. Le sofferenze del Messia annunciate da Isaia, dunque, non sarebbero altro che le sofferenze del popolo in esilio che contribuirebbero alla redenzione dell’umanità. Esiste inoltre un vero e proprio messianismo secolarizzato, dove l’ideale della redenzione ha assunto connotazioni del tutto terrene, identificando l’era del Messia con il culmine del progresso umano e la redenzione come il trionfo della razionalità e della giusta convivenza tra gli uomini in questo mondo. Ed è questo un tipo di messianismo che ha conosciuto una straordinaria –benché spesso misconosciuta- importanza negli eventi storici degli ultimi secoli.

Un paradiso sulla terra. Evoluzione e derive del messianismo ebraico in età moderna

   Nessuno storico, forse, riuscirà mai a definire fino a che punto gli elementi di un certo “misticismo” abbiano contribuito paradossalmente alla formazione del laico mondo moderno. Tutti i più recenti studi[12], in effetti, sono concordi nel descrivere la nascita e lo sviluppo della modernità –specie a partire dal cosiddetto Secolo dei Lumi- come un processo molto più complesso e articolato di quanto si sarebbe indotti a credere: un processo dove, accanto alle istanze “laiche” e “progressiste” incarnate dalle lotte sociali, si muovono forze e poteri mossi da suggestioni para-mistiche e para-religiose d’ogni tipo. Così, persino nella genesi dei movimenti politici e sociali apparentemente più distanti da qualsivoglia visione religiosa o spirituale, possono riconoscersi contatti e influssi esercitati da un pululare di società segrete, conventicole e logge, dove suggestioni occulte ed esotericheggianti si mescolano, in maniera a volte inestricabile, ad istanze politiche di rivoluzione e rinnovamento sociale.

In questa prospettiva, un ruolo particolarmente importante è quello ricoperto dalla galassia di certi movimenti messianici e apocalittici di derivazione ebraica, i quali, spesso in aperto contrasto con “l’ortodossia” rabbinica, riprongono in chiave militante la speranza dei loro padri in un mondo a venire, portando alle estreme conseguenze quell’atteggiamento intra-mondano da sempre presente nell’aspettativa ebraica riguardante la fine dei tempi. Questo atteggiamento esplode agli albori della modernità, come risposta alle delusioni messianiche e alla violenza delle persecuzioni subite dalle comunità della Diaspora soprattutto in Spagna e nell’est europeo, nutrendosi di suggestioni cabalistiche ed esoteriche non di rado sconfinanti in aperta eresia.

E’ all’anno 1666 che risale il primo grande sommovimento messianico della modernità ebraica, che avrà conseguenze catastrofiche sulle comunità sparse fra Europa e Medio Oriente ed eserciterà un certo influsso anche al di fuori dell’Ebraismo: stiamo parlando del movimento nato dalla predicazione dell’ebreo ottomano Shabbatai Zevi[13], autoproclamatosi Messia di Israele di fronte alle comunità giudaiche del mediterraneo orientale. Questo movimento, che assumerà forme incredibilmente aberranti rispetto all’ortodossia rabbinica, sembra in effetti operare un vero e proprio rovesciamento del messianismo tradizionale. Shabbatai Zevi, infatti, predica che l’arrivo dell’era messianica –da lui inaugurata- comportando il superamento della vecchia Legge religiosa, instaura un’epoca di libertà assoluta, dove compiere atti arbitrari o addirittura blasfemi diverrà paradossalmente lo strumento per accelerare la redenzione del mondo. Questo atteggiamento giunge al parossismo quando l’autoproclamato Messia finirà per apostatare dalla fede ebraica convertendosi all’Islam –sotto la minaccia di morte del Sultano turco- e questa apostasia sarà considerata, da parte di molti suoi seguaci, non come un tradimento, ma come una paradossale “discesa nelle tenebre” da parte del sedicente Messia in vista di una redenzione universale. Secondo l’interpretazione dei suoi fedeli –che si “convertirono” anch’essi all’Islam, pur praticando in segreto i riti e le credenze della loro setta- l’apparente tradimento era stato, infatti, l’unico modo attraverso il quale il Messia poteva “penetrare la fortezza del male” per distruggerla dall’interno.

Questa stessa visione, fu ripresa alcuni decenni dopo da un altro sedicente Messia, l’ebreo polacco Jacob Frank, che nel 1753 si proclama reincarnazione di Shabbatai Zevi e che porterà alle estreme conseguenze il rifiuto della Legge sacra e il libertinismo morale del suo predecessore, arrivando a predicare il raggiungimento di uno stato mistico di liberazione attraverso una gnosi che esalta ogni peccato immaginabile e in primo luogo l’incesto: «non sono venuto per elevare» affernerà il presunto Messia «ma per distruggere e abbassare ogni cosa finché sia inghiottita nell’abisso (…). Non c’è ascesa senza prima discesa. Io sono stato scelto perché sono l’oscurità da cui sprizzerà la luce»[14].

A differenza di Shabbatai Zevi, tuttavia, Jacob Frank caratterizza la sua setta in senso eminentemente politico e militante: egli predica e pratica in prima persona una falsa conversione al Cattolicesimo –così come Zevi si era “dissimulato” islamico- con l’idea di penetrare e distruggere dall’interno il mondo del male rappresentato dagli stati cristiani d’Europa e dalla Chiesa cattolica: «dobbiamo dunque accettare pro forma la fede nazarena si da apparire tanto cristiani quanto i cristiani stessi»[15]. Al tempo stesso, il presunto Messia proclama la necessità di una “rivoluzione mondiale imminente” che avrebbe distrutto l’ordine stabilito, per aprire le porte al nuovo mondo messianico, arrivando a disegnare le nuove divise rosse –il colore della vendetta- del futuro esercito rivoluzionario.

Questo tipo di messianismo esaltato ed eterodosso potrebbe sembrare solo un fenomeno marginale, ma ha invece rappresentatato, al pari di altri fenomeni analoghi presenti al di fuori dell’Ebraismo, quell’indispensabile humus spirituale sul quale fioriranno gran parte degli eventi rivoluzionari a cavallo tra ‘700 e ‘800, in primis la stessa Rivoluzione Francese[16]. Ed è un dato di fatto, d’altronde, come questo stesso spirito messianico, ormai del tutto secolarizzato, sia almeno in parte all’origine di quell’humus dal quale germoglieranno alcune fra le più fortunate ideologie moderne. Così, ad esempio, non sono pochi quegli studiosi che hanno visto nell’opera del filosofo ebreo Karl Marx null’altro che una forma secolarizzata di messianismo, un profetismo senza Dio, annunciante il paradiso in terra in cui «la classe operaia è il vero Messia che porta la redenzione del mondo, lottando e soffrendo contro i figli delle tenebre, i borghesi. Lo sfruttamento del lavoratore è il peccato originale. La società socialista del futuro è il Regno escatologico, dove il lupo pascolerà con l’agnello e la terra non darà più spine, ma frutti in abbondanza. L’organizzazione proletaria, il Partito, è il popolo di Dio in marcia verso questo Regno messianico. La fabbrica è il tempio, dove il lavoro è la nuova preghiera. Il leader proletario è il profeta che guida il resto d’Israele. La scienza è la vera teologia”[17].

Il marxismo è oggi una realtà che appartiene al passato e il suo tramonto, che coincide essenzialmente col tramonto di quella monolitica visione materialista che ha contraddistinto buona parte della modernità, è ormai un dato storico. Ma non per questo è venuto meno quello “spirito messianico” che pure lo informava: tramontata l’epoca del materialismo storico, infatti, il messianismo sembra oggi riproporsi nuovamente in un’ottica religiosa –sull’onda di un universale “recupero del sacro”- anche in ambiente ebraico. Un aspetto di questo messianismo neo-religioso è il movimento israeliano del Gush Emunim[18], che unisce suggestioni sioniste e nazionaliste –nate inizialmente in ambito laico- ad elementi religiosi, con forte ricaduta sulla già scottante situazione mediorientale. Infatti, «il Gush Emunim ritiene che la redenzione avviene nel quadro degli eventi naturali e della storia umana. Insiste sulla colonizzazione di tutta la Terra di Israele in quanto fase decisiva attuale nella realizzazione della redenzione, e le zone fondamentali sono quelle che hanno un significato religioso per gli Ebrei, anche se oggi sono popolate principalmente da Arabi»[19].

Il Gush Emunim è oggi un movimento di massa in Israele, un movimento religioso-politico che, identificando la figura stessa del Messia veniente con quella del popolo ebraico e dello stato di Israele –non un Messia-persona, dunque, ma un Messia-popolo- ripropone nuovamente una suggestione millenaria sempre pronta a rimanifestarsi in forme diverse ma analoghe: una suggestione che non è solo puro oggetto di contemplazione e di devota attesa, ma forza attiva –e a volte drammaticamente influente- del panorama politico contemporaneo”.



[1] Lo scrittore ebraico Giuseppe Flavio, nel suo La Guerra Giudaica, cap. 5, racconta che proprio la certezza dell’arrivo del Messia spinse gli Ebrei a ribellarsi contro i Romani verso il 66 d.C.: «Ma quello che incitò maggiormente alla guerra fu un’ambigua profezia, ritrovata ugualmente nelle Sacre Scritture, secondo cui in quel tempo ‘Uno’ proveniente dal loro popolo sarebbe diventato il dominatore del mondo».  Anche Tacito nelle Historiae (V, 13), conferma questa voce, molto diffusa nel mondo antico: «I più erano persuasi trovarsi nelle antiche scritture dei sacerdoti che, verso questo tempo, l’Oriente sarebbe salito in potenza. E che dalla Giudea sarebbero venuti i dominatori del mondo». Sia Giuseppe Flavio che Tacito interpretano la profezia in maniera politicamente corretta identificando la figura del dominatore atteso con quella di Vespasiano, acclamato imperatore proprio in Giudea.

[2] Le profezie che avrebbero preannunciato la venuta del Messia a cavallo dell’Era volgare sono soprattutto due. La prima è presente tra le Benedizioni che Giacobbe impartisce ai suoi 12 figli; a Giuda –capostipite della tribù regale, da cui discende Davide- il padre profetizza: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché non verrà colui al quale appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli» (Gn. 49, 10). Ora, è proprio a cavallo dell’Era volgare che, con la morte di Re Erode, il popolo d’Israele perde definitivamente anche la parvenza d’autogoverno –il bastone del comando– finendo direttamente sotto il controllo di Roma. Per questo motivo colui al quale è dovuta l’obbedienza dai popoli era atteso proprio in quel periodo. L’altra profezia è quella delle Settanta Settimane (o Settanta Settenari, traducendo il termine “settimana” con un periodo di 7 anni): «Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua città santa per mettere fine all’empietà, mettere i sigilli al peccato, espiare l’iniquità, portare una giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei Santi» (Dn. 9, 24). Si parla di un periodo di 490 anni, a partire dalla ricostruzione di Gerusalemme dopo la distruzione dei Babilonesi (516 a.C.), terminato il quale sarebbe venuto il giudizio su Gerusalemme, con l’arrivo dell’Unto. Secondo questi calcoli, pertanto, l’inizio dell’era messianica veniva a cadere all’incirca a ridosso dell’Era volgare.

[3] L’attesa di un cambiamento universale e dell’arrivo di una figura redentrice era molto diffuso nel mondo mediterraneo: ne fanno fede testimonianze come la IV Egloga di Virgilio, dove l’autore annuncia la venuta di una nuova era e la nascita di un “figlio” straordinario.

[4] Cit. in D. Banon, Il messianismo, Firenze 2000, p. 18

[5] Zòhar Chadàsh (Bereshìt 6, 1)

[6] Sanhedrin 97a

[7] Mishnà (Sota 9, 15)

[8] Sanhedrin, 98b

[9] Vayikrà Rabbà 9, 7; Bemidbàr Rabbà 13, 2

[10] Scrive Ràshi: «le tue mani hanno eretto il Santuario di Hashèm» (Shemòt 15, 17).

[11] Ancor oggi, il gruppo ultraordotosso ebraico dei Nathurei Karta (i Guardiani della Città) rifiuta lo Stato d’Israele come creazione puramente umana basata sulla violenza e maturata in un contesto laico estraneo a Dio e alla Thorà.

[12] Il rapporto tra la modernità nascente –ideologie e movimenti rivoluzionari compresi- è il mondo della cultura spiritualista e occultista è oggetto di numerosi studi, tra i quali ricordiamo: G. Marletta, Il neospiritualismo, l’altra faccia della modernità, Rimini 2006; C. Gatto Trocchi, Storia esoterica d’Italia, Casale Monferrato (Al) 2001; M. Introvigne, Il cappello del mago, Carnago (Va) 1990.

[13] Sull’inquietante vicenda di Shabbatai Zevi, cfr. G. Scholem, Sabbatai Tzevi. Le messie mystique, Lagrasse 1983

[14] Cit. in M. Blondet, Gli Adelphi della dissoluzione, Milano 1999, p. 61

[15] Ibidem, p. 63

[16] E’ ben noto il ruolo avuto da organizzazioni come alcune logge massoniche o certi gruppi politico-esoterici come gli Illuminati di Baviera, nella genesi dei movimenti rivoluzionari moderni. Per quanto riguarda il “frankismo”, si può dire con certezza che almeno alcuni elementi della setta hanno avuto ruoli tutt’altro che marginali all’interno del mondo rivoluzionario francese post-1789: tra questi, ricordiamo i fratelli Frey, cugini del “messia” Frank, membri autorevoli del club dei Giacobini (cfr. M. Blondet, Gli Adelphi della dissoluzione, cit., p. 67)

[17] Cit. in V. Messori, Ipotesi su Gesù, Torino 2001, p. 90

[18] Letteralmente “Blocco della Fede”.

[19] D. Banon, Il messianismo, cit., p. 112

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