Considerazioni metafisiche sulla dottrina della Resurrezione (da: “L’Eden, la Resurrezione e la Terra dei Viventi”)

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E’ la più incomprensa ed equivocata tra le dottrine religiose: eppure, la Dottrina della Resurrezione é un aspetto fondamentale per la comprensione metafisica di quell’essere che chiamiamo “uomo”. In questa breve raccolta di passi (Tratti dal nostro saggio: “L’Eden, la Resurrezione e la Terra dei Viventi”, Cap. VII, Ed. Irfàn), si affrontano alcuni aspetti della questione: il rapporto tra possibilità superiori ed inferiori nell’uomo, il rapporto tra tempo ed eternità, le caratteristiche del cosiddetto “corpo di resurrezione”. La vittoria sulla caduta, il trionfo sulle “spire” del serpente infernale, la realizzazione piena dello stato umano a somiglianza di ciò che è stato l’Eden e la condizione primordiale – che sia ottenuta in vita attraverso l’ascesi e il cammino spirituale o attraverso un doloroso prolungamento post-mortem – culmina comunque nella Resurrezione, dove tutte le possibilità individuali (psichiche ma anche corporee) trovano perfetta e beatifica realizzazione. (…) Abbiamo visto, peraltro, come la dottrina della Resurrezione sia propria una delle meno comprese e accettate nel mondo moderno, proprio a causa dell’incomprensione sulla natura generale dello stato umano. Ignorare la natura tripartita dell’uomo, aver dimenticato l’esistenza del mondo intermedio, aver ridotto il racconto dell’Eden a mera metafora o ad insignificante letteralismo ha comportato, in definitiva, anche una totale incomprensione ed ignoranza rispetto alla dottrina della Resurrezione finale. (…)

Il presupposto metafisico della Resurrezione, infatti, è da una parte la permanenza atemporale delle possibilità individuali anche dopo la morte fisica, dall’altro la necessità matematica che un essere superiore debba per forza di cose ricomprendere anche le possibilità inferiori della sua natura. La Resurrezione, infatti, è solo il primo passo verso l’Ascensione ai Cieli ed il possesso di sempre più alti e luminosi stati dell’essere, ma questo presuppone che l’essere sia perfettamente in possesso di tutte le sue possibilità, anche quelle che possono apparire come “inferiori”.  Il più infatti comprende necessariamente il meno, e così l’essere che giunge ad una certa realizzazione spirituale deve per forza di cose possedere in pienezza anche gli stati inferiori, non solo quelli “animici” o “psichici” ma anche quelli grossolani e corporei.

IL “GIORNO DELLA RESURREZIONE”

Questa breve digressione sui vari “momenti” in cui i diversi esseri realizzano lo stato della Resurrezione ci impone una riflessione sul concetto biblico di Giorno della Resurrezione, espressione che ricorre con frequenza nei testi profetici dell’Antico Testamento e, più diffusamente, in tutto il Nuovo Testamento. Definito anche come “Giorno del Signore”, tale evento è identificato dagli autori della Bibbia con la fine dei tempi, l’Istante del Giudizio Universale e il momento della Resurrezione dai morti.  Tale “giorno”, tuttavia, va inteso come un’Istante che trascende del tutto il tempo; anzi: possiamo ben dire che tale Istante sia proprio quello in cui il tempo cessa di scorrere e tutte le possibilità, individuali ed universali, di ritrovano simultaneamente per il Giudizio. (…)

L’Istante in cui il tempo si consuma, in cui il divenire si interrompe, in cui ogni possibilità legata a questo mondo si esaurisce non corrisponde, dunque, ad un “annientamento” della realtà creata, quanto piuttosto ad un “ritorno” delle possibilità fuori dal fluire del tempo. (…) In quell’Istante, i giusti giungono alla Resurrezione beatifica, mentre gli empi subiscono la loro particolare “resurrezione”, che altro non sarà che lo sprofondamento nelle forme inferiori degli stati subumani dell’essere; lo stesso “mondo materiale” sarà trasfigurato a somiglianza del “perduto” Eden (che perduto in realtà non è stato mai, visto che si tratta, in primo luogo, di uno stato dell’essere, sempre attingibile da chi ne è stato fatto degno).

“NON UN CAPELLO DEL VOSTRO CAPO”. LA CONDIZIONE DEL RISORTO NEI VANGELI

La Resurrezione è la pienezza di uno stato, nello specifico lo “stato umano”.  (…) Al pari dell’analoga condizione primordiale “edenica”, peraltro, l’immaginario religioso sorto intorno al dogma della Resurrezione è stato spesso condizionato da quel punto di vista riduzionista inevitabilmente connesso alla “volgarizzazione” dei dogmi. Così la Resurrezione dei Corpi è stata percepita, agli occhi di molti fedeli, come il mero ritorno dell’essere ad una condizione identica a quella terrena “temporale”, con l’unica differenza costituita dall’“immortalità” (cosa che sarebbe un controsenso in termini, visto che il tempo e la morte sono sinonimi). In realtà, se la Resurrezione può essere intesa come un “ritorno”, essa non lo è certo rispetto all’esistenza temporale, quanto piuttosto alla condizione perfetta che era propria all’Eden. La Resurrezione è quindi un ritorno alle Origini, seppur con alcune fondamentali differenze: mentre l’uomo edenico, infatti, ha la possibilità di “cadere” nelle “spire” del serpente, quello che giunge alla Resurrezione non può più “discendere”, perché ha già esaurito ogni possibilità inferiore.  Al contrario, come vedremo, la Resurrezione è la porta aperta verso l’ascesa agli stati superiori (angelici e divini) dell’essere.  Le Scritture ci illuminano su alcuni aspetti piuttosto significativi della condizione del “risorto”. Uno dei passaggi più interessanti lo troviamo nelle parole di Gesù riportate da Luca 21, 18-19:

Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

Il senso del discorso sembra essere volutamente paradossale, perché nulla vi è nel corpo umano di più effimero di un capello che, come tale, si perde e ricresce in ogni istante. Eppure questa “promessa” divina ha un senso se letta alla luce del non-tempo della Resurrezione: l’Istante in cui la Resurrezione si attua, infatti, essendo sciolto da qualsiasi successione temporale, è quello in cui tutte le possibilità non solo “animiche” ma anche fisiche si ripropongono. Il senso della promessa di Gesù ai suoi Apostoli – che aggiunge di “non aver paura” – quindi, è che nulla si perde nella condizione del risorto, o anche che nulla si perde nel Tutto; per cui qualsiasi “timore” che attanaglia l’uomo non può che derivare da quell’illusione della temporalità che proprio la Resurrezione distrugge. (…)

L’altro aspetto della condizione del risorto è l’assoluta libertà dal “tempo” e da ogni tipo di successione: Gesù, infatti, appare ai suoi discepoli in forme diverse, come giovane o adulto, come sano o come piagato dai segni della drammatica Passione; perché ogni possibile manifestazione della sua Personalità è co-presente nell’unico Istante. Al tempo stesso, il corpo del Gesù risorto mantiene a piacimento tutte le possibilità dell’esistenza fisica (Egli mangia coi suoi Apostoli e sottolinea la sua “materialità” dicendo loro: “Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho”); ma può anche assumere caratteristiche “sottili” e “animiche”, come quelle di entrare in una stanza a porte chiuse, cosa che i Vangeli sottolineano più volte: (…).

Sulla base delle Scritture e delle riflessioni dei Padri e dei Dottori della Chiesa, il Catechismo Romano (I parte, par. 137), descrive in questi termini le “quattro caratteristiche” fondamentali dei “corpi risorti:

La prima di queste doti è l’impassibilità, il dono e la qualità cioè per cui i corpi risorti non potranno più in alcun modo soffrire né essere colpiti da alcun dolore e molestia. Viene poi lo splendore, il dono cioè per cui i corpi dei santi risplenderanno come il sole. Questo splendore consisterà in una luce che si irradia su tutta la persona dall’intima e perfetta felicità dell’anima, quasi un riflesso della sua beatitudine; allo stesso modo in cui l’anima stessa sarà beata per comunicazione della felicità divina. A questa dote va unita quella dell’agilità, cioè il dono per cui il corpo sarà liberato dal peso che in terra lo affatica, così che potrà muoversi con la massima facilità dovunque voglia il desiderio dell’anima, con un movimento talmente celeste che nessun altro può esservi paragonato. L’ultima proprietà è la sottigliezza, in virtù della quale il corpo sarà completamente sotto il dominio dell’anima, cui servirà e ubbidirà in modo perfetto.

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