SUL SIMBOLISMO DELL’AMORE E DEL VINO

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Ai cuori amanti e gentili

E’ uno dei simbolismi più diffusi all’interno della Tradizione Biblica e Monoteista: dallo straordinario Cantico dei Cantici alla poesia del Tasawwuf e del Medioevo europeo; eppure il simbolismo erotico dell’Amore (spesso strettamente legato a quello dell’ebbrezza e del Vino) rimane uno dei più enigmatici, sconcertanti e persino “scandalosi” agli occhi di chi non sappia elevarsi ad una visione “universale” del Reale per assaporare – in anima e corpo – quello che, non a caso, è stato definito il Vino della Sapienza. Questa breve riflessione, peraltro, non ha la minima pretesa di esaurire un argomento di tale vastità, ma solo lo scopo di aprire – a chi può e vuole – uno spiraglio di meditazione.

IL PELLEGRINAGGIO VERSO IL CUORE E LA “SANTA EBBREZZA”

Per comprendere la potenza (e la realtà) del simbolismo del Vino e dell’Amore (perché i veri simboli non sono in alcun modo mere allegorie ma realtà operanti e presenti su tutti i piani del Reale), bisogna innanzitutto partire da un altro simbolismo universale che è quello del Cuore. Indicato nella Bibbia – come in tutte le tradizioni sacre – quale Centro dell’individualità, il Cuore è il luogo da dove “escono le azioni dell’uomo”[1], rispetto al quale l’individualità umana è, in un certo senso, una proiezione e dove tutte le possibilità realizzate durante la vita terrena fanno ritorno al momento della morte fisica[2].

Questo Centro – al tempo stesso concreto e sottile, visto che, in tutte le Tradizioni, il Cuore sottile coincide nella sua collocazione con quello fisico – non è tuttavia la “sede dei sentimenti più superficiali”, come lo intendono i moderni, ma è quel Centro dell’individualità oltre il quale si “cela” (la parola “Cielo”, nella stessa lingua latina, rimanda al verbo “celare, nascondere”; e Gesù dice “il Regno dei Cieli è dentro di voi[3]) la Porta del Giardino, la Scala verso i Cieli superiori, lo Spirito.

Questo Centro, tuttavia, è propriamente “celato” dalle illusorie nebbie che il nostro “ego”, frutto della caduta, stende continuamente al pari di un velo oscuro. Ed è per questo che, con l’aiuto della Grazia, l’uomo è chiamato ad intraprendere il suo pellegrinaggio verso il Cuore e a “spezzarne il guscio”, così come una mandorla rivela il suo contenuto solo quando viene aperta (ragion per cui, in molte Tradizioni, si parla di un “occhio del Cuore” che va riaperto o si consiglia di “concentrare l’attenzione sul Cuore durante la preghiera”, ecc.).

Da questo punto di vista, è evidente il simbolismo sotteso al noto passo del Salmo 33 “Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato” (Salmo 33); poiché il “cuore spezzato”, di cui parla il Salmo, non è altro che l’ego che, arrendendosi di fronte alla sua inanità, sperimenta il soccorso della Misericordia (che non potrebbe giungere, senza che …il Cuore si ferisca e si apra, come un fiore che sboccia).

Ciò che si trova Oltre il guscio è, in realtà, ciò che immerge il nostro essere nei riflessi dell’Assoluto. E, da questo punto di vista, persino alcune esperienze “comuni” ce ne offrono un bagliore.

Lo stesso stato dell’innamoramento umano – che è una condizione profana solo per chi è profano – con le sue “sensazioni” di apertura e trasfigurazione, di “percepire una nuova terra e nuovo Cielo”, cos’altro è se non “un collasso dell’ego”, una morte dell’io che introduce l’essere, anche solo per un istante e in maniera solitamente illusoria, nell’Infinità?

Stessa cosa può dirsi per l’esperienza dell’ebrezza, che sul nostro piano dell’essere è sperimentabile eminentemente attraverso il Vino e tutto ciò che, in qualche modo, spezza lo stato ordinario della coscienza; ragion per cui il simbolismo della bevanda inebriante (dal Soma vedico fino al Vino dell’Eucaristia cristiana)

“Introducimi nella cella del vino”[4] sospira l’amante del Cantico dei Cantici: che altro non è che il Cuore, sede della presenza divina e della sua Santa Ebbrezza.

…MA GUAI A CHI PROFANA AMORE!

Il fatto che l’Eros ed il Vino si ritrovino così di frequente nel simbolismo di molte tradizioni (e di quella biblica e monoteista in particolare) implica peraltro che tali realtà, anche nei loro riflessi terreni, conservino una loro terribile sacralità. Un simbolo infatti non ha niente a che vedere con un’artificiosa allegoria, ma rappresenta esattamente – sul suo piano – l’Archetipo di cui esso è una manifestazione.

Per questo motivo, contrariamente alla prospettiva moralistica e puritana, è bene capire che le proibizioni tradizionali riguardo la sessualità e le bevande inebrianti non sono dovute ad una presunta “impurità” di tali realtà, quanto, paradossalmente, al loro essere realtà “sacre” (e quindi tremende e potenzialmente distruttrici qualora le si approcci indebitamente).

Per l’uomo decaduto, infatti, ogni realtà capace di proiettare la coscienza nell’ebbrezza al di là dei sensi ordinari – qualora non sia Dio stesso a permetterlo …ma si tratta di casi che non ci devono riguardare – rischia di diventare impurità passionale, perdizione nel senso più letterale del termine nel vortice illusorio dell’effimero e dell’esteriore. Per tali motivi, l’esercizio dell’eros – in questo mondo – deve rimanere nell’ambito “sacrale” indicato dalla Tradizione e nella misura in cui esso viene concesso. Nulla, infatti, è più terribile del sacrilegio di una sacralità profanata e nulla più di tali atti rischia di trascinare l’anima negli abissi degli stati infernali.

LE DONNE ED IL VINO DEL PARADISO

E’ possibile che molti Cristiani rimangano sconcertati o “scandalizzati” dalle immagini coraniche del Paradiso popolato dalle fanciulle Urì e irrigato dai fiumi di Vino, ritenendo tale simbolismo eccessivamente “rozzo” o “terreno”. E tuttavia, in base a quanto abbiamo appena detto, non dovrebbe sorprendere che tale simbolismo sia presente non solo nei libri biblici ma anche in alcuni Padri della Chiesa.

Cantava Sant’Efrem il Siro, nei suoi “Inni del Paradiso, 3”:

“Pensa al paradiso! Al suo aroma ristoratore e ai suoi piacevoli profumi, la tua giovinezza si rinnova, svaniscono le tue imperfezioni. Chi si è astenuto dal vino sulla terra, per lui abbondano i vini del paradiso… E chi visse in continenza, lo accolgono donne nel loro casto grembo, poiché da monaco non cadde fra le braccia e nel letto dell’amore terreno”.

Ora, é curioso vedere come la teologia occidentale -spesso razionalista, moralista e quindi fortemente dualistica – interpreti passi come questi (o come molti brani delle Scritture) alla stregua di “iperbole orientali” o “eccessi poetici”. Ma al contrario, come abbiamo visto -e fatto salvo un Simbolismo ancor più profondo sempre presente- in passi come questi si esprime una verità metafisica. In uno stato superiore, come quello Paradisiaco, devono infatti essere necessariamente presenti anche gli aspetti inferiori della realtà ricondotti al loro Archetipo. L’Eros e l’Ebbrezza di questo mondo, in sostanza, altro non sono che un rifesso più o meno pallido di realtà paradisiache: poiché il più deve necessariamente contenere in sé il meno, così che tutto ciò che in questo mondo é bello, piacevole e armonioso si manifesti per quello che è: la manifestazione di un Nome santo. Ed è questo, a ben rifletterci, anche “uno” dei significati della spesso malcompresa dottrina della Resurrezione dei Corpi…

[1] Marco 7, 14

[2] Si veda il simbolismo egizio della “pesatura del Cuore (ib)” nel Libro dei Morti.

[3] Luca 17, 21

[4] Cantico dei Cantici 2, 4

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