FONDAMENTI DELL’APOCALITTICA CRISTIANA. I “SEGNI DEI TEMPI” NELLE SCRITTURE

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L’apocalittica è tornata “di moda” per ragioni culturali e di attualità, sia all’interno che al di fuori del “mondo cristiano”. Proprio per questo, nel florilegio sempre più incontrollabile di interpretazioni, messaggi, rivelazioni di veri o presunti “veggenti” annuncianti il compimento dei “tempi finali”, ci sembra più che mai importante fare chiarezza a partire essenzialmente dalle sue fonti scritturali e dalle Tradizione.

TESTI DI RIFERIMENTO DELL’APOCALITTICA CRISTIANA

Prima di entrare nel vivo delle tematiche da affrontare, ci sembra necessario inserire un breve vademecum sui testi di carattere profetico-apocalittico presenti nel Nuovo Testamento.

Questi possono compendiarsi nei seguenti gruppi:

  • I passi “apocalittici” ed “escatologici” presenti nei Quattro Vangeli canonici, primo fra tutti il lungo Discorso Escatologico presente al cap. 24 del Vangelo di Matteo e quelli, paralleli, presenti in Marco e Luca.
  • I riferimenti sparsi nelle Lettere Apostoliche – soprattutto in quelle attribuite a Paolo e Giovanni.
  • Un discorso a parte merita il Libro dell’Apocalisse attribuita a San Giovanni Apostolo, ultimo libro del Nuovo Testamento. Questo libro, che ha dato il nome stesso alla letteratura “apocalittica”, è caratterizzato da un complesso e non di rado criptico linguaggio simbolico. Complessa –e non riassumibile in questa sede- è anche la storia dell’esegesi del libro. C’è persino chi, in epoche recenti, ha sostanzialmente negato il valore escatologico dell’Apocalisse, sostenendo che essa contenga, in realtà, solo una metafora delle persecuzioni e delle tribolazioni subite dalla comunità cristiana nel I secolo. Tuttavia, negare l’intenzione escatologica del libro significa, di fatto, negare le parole stesse dell’autore, che nel suo incipit afferma esplicitamente di voler trattare «le cose che debbono accadere»[1] e, al tempo stesso, negare quel principio esegetico tradizionale che è il valore “simbolico” degli eventi storici; per cui, un evento particolare può assumere il significato di anticipazione e figura degli eventi escatologici (l’esempio più evidente, nei Vangeli, sono le previsioni sulla caduta di Gerusalemme, concretamente avvenuta nel 70 ad opera dei Romani, i quali si mescolano molto spesso indissolubilmente a riferimenti apocalittici. La Caduta di Gerusalemme, infatti, diviene il “modello” simbolico anche per gli eventi che accadranno alla fine dei tempi).

I SEGNI DELLA FINE

L’apocalittica cristiana contiene delle costanti che si ripropongono costantemente: sono quelli che, a tutti gli effetti, possono definirsi come i “segni” annunzianti la fine dei tempi. In concreto, potremmo riassumerli nei seguenti punti:

  • L’APOSTASIA DELLE GENTI

La tradizione cristiana è univoca nell’affermare che la fine dei tempi verrà annunciata da una drammatica crisi spirituale a cui andrà incontro l’umanità ultima. Nessuna prospettiva “progressista” della storia può, dunque, conciliarsi con la visione escatologica cristiana. Del resto, é lo stesso Gesù, nei Vangeli, a chiedersi in prima persona: «il Figlio dell’Uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?»[2].

A partire dall’insegnamento del Maestro, gli Apostoli hanno approfondito, con dovizia di particolari, quello che sarà lo “scenario umano” dei tempi finali. Così, ad esempio, San Paolo descrive una società dove la fede è stata abbandonatasenza religione– sostanzialmente dominata dall’animalità e dalle passioni inferiori: «Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, attaccati ai piaceri più che a Dio»[3].

Sempre Paolo, nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi, parla esplicitamente del “rinnegamento della fede” che caratterizzerà i Tempi Ultimi, arrivando ad usare il termine «apostasia»[4] (rinnegamento) che sarà uno dei segni della Fine. Il parlare di apostasia, d’altronde, implica che Paolo prevede un momento in cui la fede cristiana sarà prima largamente “accettata” e poi apostatata, poiché è evidente che non si può apostatare da qualcosa che non si è precedentemente posseduto.

Questa apostasia, unita alla perdita d’ogni riferimento spirituale solido, renderà i tempi finali un momento in cui regnerà un relativismo totale: «Verrà un tempo, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma gli uomini si circonderanno di una folla di maestri secondo i propri capricci, facendosi solleticare le orecchie, e storneranno l’udito dalla verità per volgersi alle favole»[5].

Questo scenario di disordine e di confusione sarà però solo lo sfondo su cui si manifesteranno eventi ancor più drammatici, che rappresenteranno, per così dire, l’humus sul quale metterà radici il regno dell’Anticristo.

  • LO SCONVOLGIMENTO NELL’ORDINE DELLA NATURA

Nella visione biblica e, in genere, tradizionale della realtà, l’uomo e il cosmo sono considerati realtà strettamente interdipendenti (si veda l’episodio della “caduta di Adamo” in Genesi). Contrariamente a quanto sono portati a pensare i moderni, dunque, la disarmonia o il “peccato” del singolo non appartengono solo alla realtà “personale” dell’individuo – e nemmeno solo alla dimensione sociale – ma possiedono addirittura, per vie sottili ed invisibili, il potere di coinvolgere e sconvolgere il cosmo. Così, secondo la tradizione apostolica e quella patristica successiva, sarà inevitabile che la decadenza spirituale dei Tempi Ultimi non “contagi” anche il mondo della natura e dell’infraumano.

Nei Quattro Vangeli si trovano solo accenni fugaci agli sconvolgimenti dell’ordine naturale; fra tutti, è soprattutto il Vangelo di Luca quello che vi si sofferma maggiormente. In un contesto di generale caos umano e sociale – «sentirete parlare di guerre e rivoluzioni»[6]– Gesù profetizza anche che: «Ci saranno dappertutto terremoti, carestie e pestilenze: vi saranno anche fenomeni spaventosi e segni grandiosi dal cielo»[7]; e inoltre: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; e sulla terra angoscia di popoli in preda allo smarrimento per il fragore del mare e dei flutti. (…) Le potenze dei cieli saranno scosse»[8].

Nel linguaggio fortemente simbolico dell’Apocalisse di Giovanni, gli sconvolgimenti cosmici dei Tempi Ultimi sono visti come altrettante punizioni divine verso i peccati dell’uomo. Nei cap. VIII e IX, infatti, troviamo l’immagine degli angeli che suonano le sette trombe ad ognuna delle quali corrisponde un flagello che si abbatte sulla natura sconvolgendola e avvelenandola. La causa prima di tali sconvolgimenti, tuttavia, è l’uomo stesso che si è allontanato da Dio. Al cap. 11, in effetti, si parla del tempo del giudizio in cui Dio distruggerà «coloro che distruggono la terra»[9].

Le catastrofi, sia sul piano umano che naturale, non sono tuttavia un male fine a se stesso; sono anzi il segno che Dio è prossimo ad operare la più grande delle sue opere, la trasformazione finale del mondo. Ed con queste parole, infatti, che Gesù annunzia la speranza ultima ai suoi Apostoli: «Ma quando cominceranno ad accadere tutte queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione é vicina[10].

  • L’AVVENTO DELL’ANTICRISTO

Nel Nuovo Testamento, la figura comunemente chiamata “anticristo” è presente con diversi appellativi l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’iniquo, la bestia o, appunto, l’Anticristo, termine quest’ultimo presente solo nelle lettere di Giovanni[11]. Generalmente identificato come una figura storica – o con un movimento storico, o ambedue le cose – destinata a manifestarsi nei Tempi Ultimi sotto forma di un dominio universale che diffonderà una falsa religiosità su tutta la terra e combatterà i credenti in Cristo, l’Anticristo deve essere visto, innanzitutto, come un falso Cristo, una parodia del Cristo vero che, prima del vero ritorno del Messia, si dissimulerà davanti agli occhi degli uomini, ingannandoli. Come afferma San Paolo: «Prima infatti dovrà venire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio»[12].

Anche nell’Apocalisse di Giovanni, questa figura possiede le caratteristiche “mimetiche” del perfetto ingannatore, di una forza di tenebra che non si presenta come tale ma come apparenza di luce: «Aveva due corna come un agnello (simbolo di Cristo, n.d.a.) ma parlava come un drago»[13].

Questa caratteristica parodistica e persino grottesca dell’anticristo, è comprensibile solo alla luce della visione cristiana e tradizionale della realtà e, in particolar modo, di quella realtà effimera ma terribile che è il male. Di fatto, nella tradizione cristiana quello che noi chiamiamo “male” è, metafisicamente parlando, un nulla. Il male, cioè, non è una forza contrapposta al bene quasi che possa situarsi sullo stesso piano, ma, tutt’al più, una mancanza di bene o, meglio ancora, un aspetto parziale della realtà. Pertanto, essendo un nulla, il male non può creare nulla e pertanto, il culmine che esso può raggiungere concretamente, è quello di essere ombra del bene, contraffazione, Satana simia Dei, come afferma la teologia cristiana[14].

L’Anticristo è innanzitutto il “grande seduttore”: nel contesto dei tribolati e decadenti Tempi Ultimi, egli rappresenta la personificazione stessa dello spirito dell’epoca, colui che porta a compimento le “istanze” di degrado morale e spirituale che la caratterizzeranno. Per questo, per il suo essere in sintonia coi tempi, egli conoscerà un seguito sterminato; come descrive l’Apocalisse: «Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. (…) L’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita»[15].

  • LA RELIGIONE DELL’ANTICRISTO E IL SUO DOMINIO UNIVERSALE

Per poter divenire realmente parodia del Cristo, l’anticristo dovrà manifestarsi, paradossalmente, come una figura con caratteristiche religiose. Se è vero, infatti, che egli si manifesta in un’epoca “senza religione” e si contrapporrà ad “ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto”, questo avverrà però solo perché il suo scopo vero è quello di “innalzarsi” al di sopra di tutto, “additando se stesso come Dio”. Da questo punto di vista, egli incarnerà perfettamente quell’anelito satanico a “farsi dio” che già abbiamo visto essere causa della Caduta di Adamo.

Nell’ambito di questa parodia religiosa, peraltro, un’importanza fondamentale la avranno i cosiddetti “prodigi”: ed è questo un aspetto su cui ritornano con grande frequenza sia dagli autori del Nuovo Testamento che i primi Padri della Chiesa. Come Cristo, infatti, si è manifestato agli uomini anche attraverso i segni miracolosi, così pure l’Anticristo si adombrerà di un’aura prodigiosa. Nel Vangelo di Matteo, è lo stesso Gesù che ammonisce i discepoli riguardo ai futuri “falsi profeti” affermando, tra l’altro che essi «faranno grandi portenti e miracoli così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti»[16]. San Paolo, da parte sua, afferma anche che «la sua venuta (dell’Anticristo n.d.a) avverrà nella potenza di Satana, con ogni sorta di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno»[17].

I prodigi dell’Anticristo, tuttavia, saranno solo in apparenza identici a quelli di Cristo: perché mentre i miracoli di Gesù sono il riflesso della sua potenza divina, i portenti dell’anticristo – che, con un’espressione moderna, potremmo definire facoltà paranormali – non saranno altro che il riverbero di una magia infernale spettacolare quanto vana; e sarà solo a causa dell’incapacità di discernimento dell’umanità coeva che l’Ingannatore potrà esercitare un tale potere seduttivo.

L’analogia inversa tra Cristo e l’Anticristo, non si esaurisce ai prodigi. Alla Gerusalemme celeste promessa da Cristo, l’Anticristo opporrà lo scenario di una Gerusalemme terrestre centro del suo dominio universale e di un regno “invertito” universale. Il regno effimero ma terribile dell’Anticristo non comprenderà infatti un solo popolo, ma tutte le stirpi e tutte le genti, quale parodia perfetta del Regno promesso da Cristo a “tutte le genti”: e questo “potere mondiale” è simbolicamente descritto, nell’Apocalisse, con l’immagine della Grande Babilonia, la prostituta dominatrice del mondo, sulla cui descrizione influiscono, con evidenza, immagini di realtà coeve all’autore[18]. L’autore dell’Apocalisse descrive la base del potere dell’anticristo e del successo di Babilonia nella capacità di controllare la ricchezza e l’economia: «Si adoperava, inoltre, che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, fosse impresso sulla destra o sulla fronte un marchio, e che nessuno potesse comprare o vendere se non portava il marchio, il nome della bestia o il numero del suo nome»[19].  Un potere, dunque, fondato sul controllo universale degli scambi e della ricchezza e, per questo, apparentemente intangibile e indistruttibile.

LA PARUSIA DEL CRISTO

Nelle Scritture è anche variamente descritta la battaglia escatologica – Armagheddon – che opporrà le forze anticristiche all’”accampamento dei Giusti”; e tuttavia, solo al Cristo del secondo avvento (Parusia) è destinata la vittoria sull’Empio.

Malgrado il suo potere, infatti, il regno dell’Anticristo è pur sempre una creazione del tutto illusoria, perché basato sulla negazione dell’Essere. Ora, essendo la negazione dell’Essere (senza il quale, per l’appunto, nulla può esistere) una possibilità irrealizzabile, è evidente che la “grande parodia” dell’Anticristo non potrà mai essere altro che una realtà instabile e, in ultima analisi, effimera. Il ritorno di Cristo, pertanto, metterà fine al regno dell’Iniquo istantaneamente; e se per i Giusti permane il sacro dovere della lotta, solo al Giusto per eccellenza sarà concessa la vittoria.

La vittoria del Giusto, come detto, sarà subitanea, e coinciderà con la Sua riapparizione. Proprio nel momento dell’apparente trionfo, infatti, il male sarà spazzato via: «il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta»[20].

LE GRAZIE SPECIALI DEI TEMPI FINALI

Al di là della prospettiva “dualista”, pertanto, anche i tempi ultimi con la loro “sovversione universale” vanno considerati come un aspetto del Disegno divino: persino il regno terribile dell’Anticristo, in quest’ottica, è “permesso” in vista di uno Scopo più alto. Lo stesso scontro tra Cristo e l’Anticristo – pur reale e drammatico sul suo piano – non deve essere inteso come il conflitto tra due forze alla pari, perché tale non è, non potendoci essere alcun tipo di equivalenza tra l’Essere e il nulla.

E’ in questa prospettiva, peraltro, che va intesa anche la questione delle grazie straordinarie che devono essere erogate a beneficio degli uomini dei Tempi Ultimi: grazie non attingibili in altri momenti del divenire storico, come adombrato anche nel celebre passo di San Paolo che recita «dove abbonda il peccato la Grazia sovrabbonda»[21]. La Bilancia cosmica della manifestazione, infatti, non tollera squilibri in assoluto, e se un’epoca di “tentazione” e smarrimento viene permessa è solo affinché si manifestino possibilità spirituali superiori, difficili da attingere in altri tempi.

Tra questi “doni finali”, un posto particolare avrà la profezia, come annuncia il profeta Gioele: «Non temere, o terra del paese, rallegrati, perché il Signore ha fatto cose grandi! (…) Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni. Anche sui servi e sulle serve, spargerò in quei giorni il mio spirito»[22].

Accanto alle manifestazioni del falso spirito e del falso profeta, dunque, lo Spirito di Dio si manifesterà ai giusti in maniera mai vista prima, e persino la conoscenza spirituale aumenterà, in proporzione all’apparente dominio dell’inganno e della falsità, come annuncia il Libro di Daniele: «Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine: allora molti lo scorreranno e la loro conoscenza sarà accresciuta»[23].

Per questo, a coloro ai quali è stato concesso l’onere e l’onore di sfidare le tenebre nei tempi finali, sarà concessa anche una gloria più grande, poiché «essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello»[24].

Agli uomini dei Tempi Ultimi, provati fin nell’intimo dalle sirene dell’inganno e della mistificazione, è sufficiente infatti “rimanere in piedi” per dimostrare la propria fede e fedeltà, e ad essi si riferiscono le parole dell’abate Ischirione – padre del deserto – che interrogato dai suoi discepoli a motivo dei Tempi Ultimi, così rispondeva loro: «Quella generazione a venire (l’ultima, n.d.a.) non avrà nessuna buona opera. Ma vedo le loro tentazioni: e quelli che avranno fatto le loro prove in quell’epoca saranno migliori di noi e dei nostri padri»[25].

Anche per questo, «molti fra gli ultimi saranno primi e i primi ultimi»[26].


 

[1] Apocalisse 1, 1. Lo stesso concetto è ribadito al versetto 4, 1: «Sali quassù, ti mostrerò ciò che dovrà accadere».

[2] Luca 18, 8

[3] 1Timoteo 3, 1-4

[4] 2Tessalonicesi 2, 3

[5] 2Timoteo 4, 3-4

[6] Luca 21, 9

[7] Luca 21, 11

[8] Luca 21, 25. Da questo punto di vista, interessante è l’accenno alle potenze del cielo sconvolte il che, se letto nell’ottica di una concezione cosmologica antica in cui ciò che avviene in terra è il riflesso di ciò che accade in cielo, vuol significare che l’ordine naturale delle cose sarà turbato nelle sue radici.

[9] Apocalisse 11, 18

[10] Luca 21, 28

[11] Sono solo tre i passi del Nuovo Testamento –tutti compresi nel corpus giovanneo- dove ricorre l’appellativo di “anticristo”: 1Giovanni 2, 22;  1Giovanni 4, 3; 2Giovanni 7.

[12] 2Tessalonicesi 2, 3-4

[13] Apocalisse 13, 11

[14]«Satana è la scimmia di Dio». Quest’espressione esprime il concetto per cui il male non può far altro che parodiare il bene. Anche San Paolo afferma che «Satana si maschera da angelo di luce» (2Corinzi 11, 14).

[15] Apocalisse 13, 4-8

[16] Matteo 24, 23-24

[17] 2Tessalonicesi 2, 9-10

[18] E’ evidente, in alcuni punti dell’Apocalisse, come la descrizione della Grande Babilonia risenta del confronto con la Roma pagana e decadente dell’epoca, vera “babele” di popoli e di lingue, dominata da un potere assoluto autoproclamatosi divino. Al tempo stesso, un altro modello a cui l’autore attinge per la sua descrizione è certamente quello della Gerusalemme giudaica che ha rifiutato Cristo -«la grande città, che allegoricamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocefisso» (Apocalisse 11, 8). Sia la Roma pagana che la Gerusalemme giudaica vanno considerate, tuttavia, come “figure” della futura città dell’anticristo –in sintonia con un modello tipico della letteratura biblica- ed è vano ricercare identificazioni letterali con queste realtà storiche.

[19] Apocalisse 13, 16-17

[20] 2Tessalonicesi 2, 7

[21] Romani 5, 20

[22] Gioele 2, 21-29

[23] Daniele 12, 4

[24] Apocalisse 7, 14

[25] Cit. in C.Campo/P.Draghi (a cura di), Detti e fatti dei Padri del deserto, Milano 1999, p. 131

[26] Matteo 20, 16

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4 commenti

  1. Pingback: FONDAMENTI DELL’APOCALITTICA CRISTIANA. I “SEGNI DEI TEMPI” NELLE SCRITTURE | MENADEL PSICOLOGÍA Clínica y Transpersonal Tradicional (Pneumatología)

  2. Grazie. Tempo fa, ascoltai un Don che mi pare abbia definito con “cameonia” la pratica di ricevere istruzioni in sogno proprio dal Padre, come avviene spesso nella Bibbia, ad esempio a Giuseppe quando il Signore gli parla in sogno dicendogli di spostarsi da un lungo ad un altro con Maria e il bambino.

  3. In questo stesso blog, è stato già a suo tempo mostrato come previsioni di questo genere si ritrovano, con una impressionante somiglianza, anche in altre tradizioni, come ad es. nei Puranna indù. Si potrebbero citare molti altri esempi, ma la cosa più importante è capire il principio metafisico e la legge cosmologica su cui si fonda il carattere discendente del corso di un mahayuga, cioè del Ciclo completo di un’Umanità.
    Occorre pensare che la manifestazione stessa si svolge dall’Unità verso la molteplicità. Lo sviluppo di tale molteplicità, per la sua stessa natura, non si realizza a sua volta “unitariamente”, ma, in modo molteplice, cioè secondo una molteplicità di gradi causali e la molteplicità si accresce, dunque, con lo sviluppo stesso. Nel Mondo dell’Uomo, legato alla condizione temporale, questo sviluppo molteplice si svolge pertanto nel tempo, oltre che nello spazio (cioè nella contemporaneità).
    Per farla più semplice, si può dire genericamente che, più la manifestazione si sviluppa, più il suo carattere proprio di dispersione nel molteplice si accresce. Sotto il profilo strettamente causale, del resto, si può comprendere facilmente che, con il corso del tempo, le cause efficienti di ogni cosa (dirette ed indirette) si accrescono in numero ed i loro effetti si “moltiplicano” e “complicano” fra di loro, generando, anche un’effetto di accellerazione dell’accrescimento stesso della molteplicità delle cause e degli effetti. Viceversa, l’aspetto della causa finale delle cose si semplifica, riducendosi sempre più ad una realtà potenzialmente unitaria, a mano a mano che i fini intermedi si realizzano e preludono ormai al fine ultimo, che, per l’armonia stessa sottesa al carattere tendenzialmente unitario dell’ Uni-verso, non può che essere uno solo.
    Quello che a questo punto occorre ancora sottolineare è che questo percorso dall’unità alla molteplicità, è anche un percorso dalla essenza alla sostanza, che, pertanto va dall’Essenza pura realizzata nel Cosmo ad una sostanza oscura, caratterizzata dalla negazione ontologica che molto bene, nell’articolo, viene collegata al concetto stesso di male, in conformità all’insegnamento tradizionale che, nel cristianesimo, si trova, ad es. in Boezio ed in S. Agostino.
    E’ proprio questa negazione ontologica che genera la molteplicità separativa in cui ogni pseudounità, pretende di negare l’essenzialità di ogni altra cosa che verrebbe ridotta a mera funzione di essa. E’ questa progressiva reciproca negazione di tutte le cose che corrisponde ad un loro progressivo “impoverimento ontologico” che è anche un allontanamento dal Principio. Questo impoverimento, ovviamente illusorio come la manifestazione stessa, può anche essere rappresentato simbolicamente come un “rimpicciolimento”, e diviene chiaro, allora, come questa rappresentazione assuma l’aspetto di una polverizzazione o dissoluzione.
    Infine, si deve sottolineare che, per i rapporti che esistono fra la realtà microcosmica e quella macrocosmica, o, per dirla in altro modo, fra il singolo essere individuale ed il mondo delle cose con cui viene a contatto, se questo contatto rappresenta qualcosa di esistenzialmente reale, la sua molteplicità non può che riflettersi in una maggiore molteplicità interna al singolo essere stesso. In altre parole, ciò che esiste in una molteplicità maggiore di interazioni e di cause, è inevitabilmente esso stesso, al proprio interno, maggiormente molteplice, per la complessità stessa degli effetti, dei contatti e delle causalità che viene ad assumere. Perciò, questa maggiore molteplicità del Mondo è un rimpicciolimento degli esseri e delle cose e, nello stesso tempo, anche una loro maggiore molteplicità interna, una perdita della loro stessa unità essenziale (che gli proviene, del resto, interamente dal Principio, da cui si sono illusoriamente allontanati) e, dunque, propriamente una corruzione (cor-ruptio, da cor-rumpo, derivato da con (prefisso) e rumpo, che significa, come l’italiano “rompere”, spezzare, separare violentemente compromettendo la struttura essenziale di una cosa).
    E’ tutto questo che esprime in maniera molto sintetica il verbo dia-ftheiro, che è quello che si trova nel passo di Ap. 11.18 citato nell’articolo. Questa dissoluzione, che è anche una corruzione (fthorà, in tutti sensi e dunque anche in quello morale) è propriamente anche una di-struzione, cioè una separazione conflittuale degli elementi di un insieme che ha perso il principio della propria unità. Il medesimo senso si trova nella parola araba batr, che significa amputazione, troncamento e, nella forma abtar, essere mutilo, frammentario, ma anche sterile, senza discendenza, arido, privo di connessione ed unità interna. Stesso significato di frammentazione si ha per l’ebraico bether. Sono parole, tra l’altro, i cui elementi fonetici sono molto vicini, curiosamente, a quelli del verbo greco ftheiro.
    Questi rilievi potrebbero dar luogo a molte ulteriori considerazioni che non posso qui sviluppare. Ma questa oscurità, questa negazione ontologica, non è essa stessa un prodigioso richiamo da parte della Natura, per quella positività infinita della Realtà Suprema di cui è la “sete”? E se, da un punto di vista materiale, la sete e l’aridità mostrano la massima mancanza d’acqua, non è questa stessa mancanza, da un punto di vista più profondo, la massima affermazione ontologica della realtà di ciò che risulta essere assente?

  4. Perché i fatti escatologici della fine dei tempi descritti nell’Apocalisse tramite un angelo da Giovanni, vengono annunciati direttamente da Gesù, anche da Matteo nel suo Vangelo 24,1-48? Tutto questo ha senso se quest’ultimo annuncio riguarda la fine dei tempi, mentre lo scopo dell’Apocalisse può riguardare invece un percorso spirituale da fare per indurre energicamente tutti gli uomini a vivere come se in ogni giorno della loro vita terrena dovessero essere giudicati.
    Nell’Apocalisse, Giovanni dice, fra l’altro, concludendo a nome di Gesù: « Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere. […] Beati quelli che lavano le loro vesti » (Ap 22, 12-14).
    « Ecco, io verrò presto »? Che vuol significare? Che la fine del mondo in cui Gesù verrà è così immediata, ma così, non è perché la frase fu detta più di 2000 anni fa. Dunque non può che trattarsi di un “continuo venire” di Gesù da quel giorno in poi. E si sa anche che sarà Egli stesso a istradare l’uomo che si “lava le sue vesti” verso un percorso spirituale, e per agevolarlo fa dire negli Atti degli Apostoli: « riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi ». (At 1,8)

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