L’ASTRO dei MAGI (di Cosmo Intini)

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Cos’é stato il segno nel cielo che avrebbero visto i Magi evangelici? Per la critica razionalista, si tratta solo di una leggenda; alcuni studiosi, al contrario, l’hanno identificato con una congiunzione Giove-Saturno. Ma in realtà, secondo il nostro studio, il segno che avrebbe annunziato ai Magi la nascita del Messia sarebbe stato un evento ben più complesso: un vero e proprio geroglifico celeste dal significato straordinario e unico, comprensibile a partire dalle scienze sacre della gematria e del simbolismo. Perché ciò che è in basso non è che il riflesso di ciò che é in alto.

A seguito dei vari interventi che si sono susseguiti sulla scorta della recente congiunzione astronomica dei pianeti Giove e Saturno, culminata lo scorso 21 dicembre, l’attuale prossimità alla solennità dell’Epifania spinge anche noi a proporre una riflessione sull’argomento. Come è noto, suddetto fenomeno è stato posto da più parti al centro dell’attenzione non solo per l’eccezionalità della vicinanza raggiunta dai due pianeti – come non avviene se non secondo scadenze secolari – ma altresì perché esso ha richiamato l’analoga circostanza astronomica verificatasi nel 7 a.C., la quale avrebbe configurato il misterioso “Astro dei Magi” citato nell’episodio evangelico di Mt 2,1-12.

La proposta di porre in relazione la “stella di Bethleem” con la cosiddetta coniuctio aurea Giove-Saturno del 7 a.C. risale già a Keplero. Se nel corso del tempo essa è stata più volte autorevolmente ripresa, a tutt’oggi parrebbe comunque rimanere inevitabilmente confinata soltanto al livello di una mera seppur affascinante ipotesi. Da una parte essa si basa sulla consapevolezza che l’anno zero dell’era cristiana dovrebbe effettivamente retrodatarsi di 6/7 anni, giacché la sua fissazione fu frutto di un errore di calcolo operato da Dionigi il Piccolo. D’altro canto, è acclarato quanto la grande congiunzione Giove-Saturno del 7 a.C. sia stata di particolare ed eccezionale significatività astronomico-astrologico-simbologica, in quanto avvenuta per ben tre volte proprio tra quei due particolari pianeti e, oltretutto, sempre ed emblematicamente all’interno della sola costellazione dei Pesci. Non da ultimo, la certezza che proprio in quegli anni non si verificò né il passaggio di alcuna cometa, né la comparsa di luminosissimi fenomeni d’altro genere quali una nova o una supernova, ha convinto del fatto che l’“Astro dei Magi” – a meno di non considerarlo una pura leggendaria invenzione dei primi cristiani – non debba allora interpretarsi semplicemente come un singolo corpo celeste, ma piuttosto come un ben più complesso ed articolato evento astronomico.

In questa sede non ci soffermeremo sui dettagli esplicativi di tale ipotesi, proprio in quanto già da più parti sufficientemente illustrati. Quel che invece ci proponiamo di formulare si configura piuttosto come una sua integrazione; in maniera tale che, corroborando tali supposizioni con ulteriori più evidenti acquisizioni, intendiamo giungere a dimostrare che la sussistenza di una certa qual relazione tra la coniuctio aurea del 7 a.C. e l’evento dell’“Astro dei Magi” non sia solamente da ritenersi plausibile, ma vada indubitabilmente acquisita come effettiva e certa: seppur con dei distinguo. Premesso ciò, vogliamo infatti immediatamente precisare che, pur condividendo pienamente la suddetta “ipotesi”, riteniamo che il fenomeno astronomico del 7 a.C. costituì in effetti solamente il “prodromo”, il “segno indiziale”, per così dire, di quello che, verificandosi di lì a poco con immediata consequenzialità, andò invece a rappresentare il vero e proprio evento celeste direttamente esprimente l’Epiphaneia del Signore, la Sua “manifestazione”; durante il quale evento – con buona pace sia dei detrattori della veridicità del Vangelo, sia di coloro che, come i protestanti o i cattolici d’indole modernista, propendono solo per una interpretazione allegorica delle Scritture – fu in effetti proprio un singolo “astro” a rivestire un ruolo decisivo.

IL “PRAESEPE”

I nostri studi – i quali vedranno presto una pubblicazione e di cui quel che segue rappresenta una molto sintetica anticipazione – si sono avvalsi non solo delle osservazioni di alcune contingenze astronomiche, ma altresì dell’applicazione dell’ermeneutica gematrica e di interpretazioni di carattere simbologico.

Come già dicevamo, il presupposto – su cui daremo conto più avanti – è stato quello di considerare la coniuctio aurea Giove-Saturno del 7 a.C. soltanto come un’indicazione che, fornita sì di un’eccezionalità astronomica, avrebbe tuttavia prospettato qualcosa di ancor più notevole in corrispondenza del successivo 5/6 gennaio, la cui data è da sempre tradizionalmente riportata per essere proprio quella della Epiphaneia. Ebbene, avvalendoci di un software astronomico (nella fattispecie: EZCosmos 3.0 Skyplot), abbiamo riscontrato che alla data del 5 gennaio del 6 a.C., alla latitudine di Gerusalemme, esattamente alle h. 12, la “luna piena” era al centro della costellazione del Cancro, a sua volta facilmente riconoscibile per la sua tipica forma di Y rovesciata.

E’ abbastanza curioso come sino ad oggi possa essere sfuggita la significatività del fatto che la posizione del “plenilunio”, il giorno 5 gennaio del 6 a.C., verificatosi peraltro contestualmente alla “pienezza del sole” a mezzogiorno (ambedue contingenze astronomiche simbologicamente significative), sia venuto a coincidere con quell’ammasso stellare M44, situato al centro del Cancro, che è anche emblematicamente denominato “praesepe” (gr. φατνη). Tale appellativo compare già esplicitamente citato dall’astronomo Eudosso (408-355 a.C.), oltre che in seguito anche da Arato e da Eratostene, nel III sec. a.C. Tuttavia, la sua origine sembrerebbe addirittura essere retrodatabile di 3 secoli, per risalire alla civiltà mesopotamica. Il termine praesepe traduce “greppia, mangiatoia, recinto, mensa”; la qual cosa trova ulteriore significatività nel fatto che tale ammasso stellare si trova collocato tra le stelle “gamma e delta” del Cancro, a loro volta denominate “i due asinelli” (Asellus borealis – Asellus Australis)[1].

Già alla luce di questo, ci sembra che cominci ad apparir chiaro quanto l’eccezionalità della Epiphaneia di Cristo Signore – avvenimento temporalmente scisso dalla Sua vera e propria Natività, ma che è comunque rappresentante, con quest’ultimo, del sopraggiunto momento della “pienezza dei tempi” – non poteva che essere, per così dire, la “manifestazione” riflessa in terra di una contingenza posta in Cielo in maniera latente. E tale contingenza avvenne il 5 gennaio del 6 a.C., nel cielo della regione di Gerusalemme.

Ma vi sono ulteriori dettagli che ci confortano in tal senso. Va ancora premesso che il Cancro rappresenta il simbolo dell’acqua originaria, dell’acqua-madre, del germe nascente, del feto. Il granchio, che lo rappresenta, in quanto racchiuso in una corazza, rimanda poi ad un luogo chiuso, protetto; conseguentemente esso si identifica con l’archetipo materno, il principio uterino e nutritivo, la profondità, l’abisso, il pozzo, la grotta, la caverna[2]. Non è un caso inoltre che, astrologicamente, il Cancro sia il domicilio della Luna, la cui relazione con l’acqua e con la ciclicità femminile rimane abbastanza nota. L’accostamento dunque della “luna”, nel suo massimo splendore, con la figura della S. Vergine Maria appare qui più che ragionevolmente opportuno. Ed è quindi proprio tale “luna in Cancro” a doversi interpretare come l’“Astro” di Mt 2,1-12; d’altro canto, va pure ricordato che col termine greco “aster” (αστηρ) anticamente si indicavano tanto i pianeti, quanto il sole e, appunto, la luna stessa.

Per supportare tale interpretazione riproponiamo dunque la conformazione “stilizzata” dell’evento astronomico.

La prima cosa da notare è che la Y rovesciata, forma della costellazione del Cancro, corrisponde in verità alla lettera greca lambda (λ). Come non arguire, quindi, che quello che appare come un raggio che attraversa la luna piena, biforcandosi subito dopo esserne fuoriuscito, non venga ad evocare il Soffio divino, lo Spirito Santo, che penetra nel grembo della S. Vergine per fecondarlo?

Oltretutto, la lettera lambda è esattamente l’iniziale del termine Logos (λογος); e quella biforcazione, dopo la penetrazione nel seno materno, starebbe pertanto a significare la “manifestazione”, l’Epiphaneia del Verbo divino, nella Sua duplice natura di “Dio e uomo”.

UN “GEROGLIFICO” IN CIELO

A parte tutto ciò, vi è ancora un ulteriore aspetto su cui val la pena di soffermarsi. Anticamente, in greco si usava abbreviare l’aggettivo “sacro, santo” – tradotto per esteso con aghios (αγιος) – esprimendolo, quasi fosse una sigla, con la sola lettera gamma (γ). Ebbene, se volessimo tradurre la locuzione “sacro astro” diremmo allora: “g aster” (γ αστηρ). Ma tale locuzione, una volta pronunciata nel suo insieme, diviene in pratica: “gaster” (γαστηρ), che significa appunto “ventre, utero, seno materno”.

Vi è un’altra via per arguire che il fenomeno della “luna in Cancro” debba essere effettivamente considerata l’espressione macrocosmica dell’“Astro dei Magi”. Ricordiamo che il geroglifico astrologico del segno del Cancro assume tale conformazione:

Concependo tale geroglifico come un’immagine delle cifre 6 e 9, ed inserendovi tra di esse uno “zero”, quale allusione alla luna piena, otteniamo il n. 609. Poiché in lingua greca è possibile abbinare ad ogni parola un valore numerico, dato dalla somma dei valori corrispondenti alle proprie singole lettere (= gematria), ebbene, otteniamo che 609 corrisponde alla parola greca aster, che significa appunto “astro”[3].

Ed è incidentalmente interessante osservare che, da parte sua, il n. 69 non solo corrisponde ad akme (ακμη), che significa il “punto più alto, sommo”, il “momento opportuno”[4], con chiara allusione al momento di “plenilunio” in quanto culmine delle fasi lunari, nonché alla “pienezza dei tempi”; ma equivale gematricamente pure a g ghene (γ γενη), che significa “sacra nascita / sacro luogo e sacro tempo della nascita”[5], nonché pure a kalie (καλιη), che significa “baracca di legno, capanna”, con esplicito e più preciso riferimento al luogo della Natività.

Sempre in merito al “luogo” ove avviene tale “sacra Natività”, si può anche dire quanto segue: dato che la lettera greca lambda, la quale esprime la forma della “costellazione” del Cancro, possiede un valore gematrico pari a 30, ebbene, sommando tale valore al 69 che esprime da parte sua il geroglifico “astrologico” del Cancro, abbiamo: 30 + 69 = 99, il quale è il valore gematrico di Bethleem (βηθλεεμ)[6].

Riprendendo la precedente immagine stilizzata, possiamo desumere che quel suo valore gematrico pari a 30 possa anche considerarsi, secondo una propria “polarizzazione” operata in corrispondenza della sua biforcazione, pari a 15 + 15.

Ebbene, sorvolando sul significato simbolico del n. 15, particolarmente legato alla S. Vergine in quanto numero costitutivo della struttura del S. Rosario, gematricamente 15 e 15 corrisponde ad aghia gaia (αγια γαια), che traduce “Terra Santa”[7]. Con tale simbologia la patristica ha sempre indicato la verginità della Madonna, ponendola in relazione con la terra pura ed incontaminata del Paradiso. Volendo poi scendere ancor più nel dettaglio della “polarizzazione”, si potrebbe inferire che i due valori debbano allora porsi secondo una disposizione contrapposta (come tipicamente avviene, ad esempio, nei fenomeni di polarizzazione elettrica o magnetica). Avremo pertanto:

51  –   15   o, viceversa,   15   –   51.

Prendendo in considerazione solo il primo caso, desumiamo le seguenti contingenze.

  1. 51 + 15 è pari a 66, il quale valore, come si è già visto in precedenza, equivale al termine ghene, che significa “nascita”.
  2. Sintetizzando le due polarità abbiamo 515, che è il valore di parthenos (παρθενος), parola che significa “Vergine”[8].
  3. Moltiplicando 51 x 5 (che ottiene, peraltro, il medesimo risultato di 15 x 15) otteniamo 225, il quale è il valore di paidion (παιδιον), che significa “bambino, fanciullino”[9].

In sintesi, siamo al cospetto della realizzazione del passo di Is 7,14, là dove si profetizza della “Vergine che concepisce e dà alla luce un figlio”.

SULLA CONGIUNZIONE GIOVE-SATURNO

Per concludere, volendo ritornare adesso alla triplice congiunzione Giove-Saturno, possiamo far riferimento ai 3 giorni in cui avvenne il fenomeno. Essi furono: il 29 maggio, il 30 settembre ed il 5 dicembre del 7 a.C.

Considerando le reciproche distanze in giorni abbiamo:

  1. 29 maggio –    29 settembre            = 124 gg.
  2. 30 settembre – 4 dicembre             =   66 gg.

I due numeri chiave sono pertanto: 124 e 66. Ebbene:

  1. 124 è il valore di Magoi (μαγοι), che traduce “Magi”[10];
  2. 66 è il solito valore di ghene, “nascita”;
  3. 124 + 66 è pari a 190, che è il valore di ploi (πλοι), che traduce “in viaggio”[11].

Se computiamo adesso anche i giorni che separano l’ultima congiunzione Giove-Saturno con il giorno dell’Epiphaneia, abbiamo:  5 dicembre  (7 a.C.)   –   5 gennaio (6 a.C.)  =   32 gg.

E allora, alla luce dei tre valori 124, 66 e 32 otteniamo che la loro somma è pari a 222, il quale è il valore di plea-mene (πλεα-μηνη) che significa “luna piena”[12].

CONCLUSIONE

Seppur possa apparire sorprendente nei suoi esiti e nelle sue metodiche, l’approccio da noi adottato non fa altro che adeguarsi ad una semplice verità di fede, oltre che metafisica: l’incarnazione del Logos non poteva che avvenire se non informando tutto il creato alla Sua perfezione in quanto Sapienza. Questa si manifesta attraverso l’ordine, la proporzione, il numero e per poter fruire della Sua presenza non vi è via migliore che quella di conformarsi a tali ordine, proporzione e numero. L’Astro dei Magi, per chi lo sappia cogliere, ne è testimonianza e monito!

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[1] La denominazione è di origine mitologica. A seguito alla caduta dei Titani, Giganti e Dei vennero a battaglia. In quanto questi ultimi sopraggiunsero cavalcando i due asini, non conoscendo tali bestie i Giganti furono spaventati dal loro ragliare e messi in fuga. Fu così che Dioniso, per premiare i due asini, mise il praesepe nel cielo, in mezzo a loro.

[2] Cfr. J. CHEVALIER – A. GHEERBRANT, Dizionario dei Simboli, vol I, Ed. BUR, Milano 1992, pp. 182-183.

[3] αστηρ = 1 + 200 + 300 + 8 + 100 = 609.

[4] ακμη = 1 + 20 + 40 + 8 = 69.

[5] γ γενη = (3) + (3 + 5 + 50 + 8) = (3) + (66) = 69.

[6] βηθλεεμ = 2 + 8 + 9 + 30 + 5 + 5 + 40 = 99.

[7] αγια γαια = (1 + 3 + 10 + 1) + (3 + 1 + 10 + 1) = (15) + (15) = 30.

[8] παρθενος = 80 + 1 + 100 + 9 + 5 + 50 + 70 + 200 = 515.

[9] παιδιον = 80 + 1 + 10 + 4 + 10 + 70 + 50 = 225.

[10] μαγοι = 40 + 1 + 3 + 70 + 10 = 124.

[11] πλοι = 80 + 30 + 70 + 10 = 190.

[12] πλεαμηνη = 80 + 30 + 5 + 1 + 40 + 8 + 50 + 8 = 222.

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2 commenti

  1. Alessandro on

    Lei mi sembra molto ma molto chiacchierone. Mi dica come mai in una tavola rotonda con Biglino ,c’erano un rabbino,un prete ed un altro che non ricordo. Chissà perché il rabbino ( non italiano ) era d’accordo con le traduzioni di Biglino. Non vi attaccate sugli specchi perché poi si scivola e ci si fa’male. Se era pazzo Biglino nessuno si sarebbe preso la briga di attaccarlo….ma quando uno dice la verità da sempre fastidio. Stia bene.

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