Un altro “anello mancante” …anzi no! Storia di un’ennesima non-scoperta evoluzionista

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Questa volta non si può parlare di “falsa/cattiva” scienza, l’attenzione è invece rivolta verso i media che, per loro natura, tendono a prendere ciò che è “solamente” interessante e lo trasformano in “sensazionale”.

Accade così che la scoperta di un fossile di ominide diventa il rinvenimento “dell’anello mancante”.

Sul Corriere della Sera, su La Stampa, Il Riformista, La 7.it, l’Eco di Bergamo, Tiscali notizie, Wall Street Italia, e chissà dove altro ancora, ad esempio, sarebbe bastato cambiare l’articolo e, anzichè parlare dell’anello mancante, riferirsi ad “un” anello mancante, per non scivolare nell’errore.

Ma la notizia è in effetti una “non notizia”, nel senso che se ne era già parlato in precedenza, al riguardo è da segnalare un interessantissimo articolo apparso su “Pikaia” (il portale dell’evoluzione, di Telmo Pievani) addirittura il 10 aprile 2010, in un pezzo firmato da Marco Michelutto, nel quale la questione è posta nella giusta luce e dove, tra l’altro, si può trovare un passaggio molto interessante:

“Ad ogni modo il dibattito non si è fatto attendere ed entrambe le posizioni hanno i loro sostenitori degni di nota, ad esempio Donald Johanson che si rammarica addirittura che la specie non sia stata inserita nel genere Homo e Tim White che la considera solo un esponente tardivo di Australopithecus africanus (e fa notare come il fatto che l’individuo che fa da olotipo sia relativamente giovane possa aver distorto alcune sue caratteristiche salienti).”

Leggiamo infatti che gli esperti sono divisi sulla collocazione da dare all’Australopitecus sediba, c’è infatti chi lo vorrebbe inserire nel genere Homo e chi invece tra gli Australopitecus africanus. Particolarmente interessante è la motivazine della seconda proposta:

“l’individuo che fa da olotipo sia relativamente giovane possa aver distorto alcune sue caratteristiche salienti”

Come i paleontologi sanno, il cranio dei piccoli delle scimmie somiglia maggiormente a quello umano rispetto a quello degli adulti, se quindi prendiamo un individuo di Australopitecus particolarmente giovane, come fa notare il prof. Tim White, la classificazione del reperto risulta falsata. Grazie alla corretta informazione di Pikaia le notizie della stampa non specializzata appaiono dunque in tutta la loro esagerazione.

Altrettanto corretta è stata l’informazione specializzata di Le Scienze che, ad esempio, titola sulla stessa notizia: Au. sediba: un po’ australopiteco, un po’ uomo. Nell’articolo si possono inoltre leggere passaggi chiarificatori, come quello che verrà ignorato dai più ma rappresenta un fatto importantissimo biologicamente, in cui si afferma: “I risultati di Carlson pongono così in dubbio la teoria di un graduale ampliamento del cervello durante la transizione da Australopithecus a Homo.”

Il senso della scoperta appare così ribaltato: dove sembrava di vedere la definitiva consacrazione del meccanismo neo-darwiniano, emerge invece un grande ostacolo: si allontana l’ipotesi di uno sviluppo gradualistico del cervello.

E i biologi sanno che il gradualismo è un punto centrale del neo-darwinismo.

Un’informazione che andrebbe inoltre integrata con quella relativa al raggiunto limite di sviluppo massimo del cervello umano data poco tempo fa (vedi articolo del 3 agosto e del 5 agosto). Le implicazioni delle due notizie unite insieme rappresentano quindi un ostacolo per il meccanismo neo-darwiniano.

Quindi la notizia può essere riassunta in questi termini:

-l’A. sediba è una specie di A. Africanus, e allora niente “anello” di congiunzione con Homo

-l’A. sediba è un anello di congiunzione con Homo, e allora la sua scoperta comporta molte difficoltà per l’evoluzionismo neo-darwiniano a causa del suo cervello che non mostra un’evoluzione graduale.

Ma questo non lo troveremo nei giornali.

                                               Enzo Pennetta

(fonte: http://www.enzopennetta.it/wordpress/2011/09/evoluzione-trovato-l%E2%80%99anello-mancante/)

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